Il capo della polizia «assolve» Contrada

Il capo della polizia «assolve» Contrada E al processo Borsellino un cugino ricorda: Paolo, il giorno della strage, ebbe una premonizione Il capo della polizia «assolve» Contrada Masone come Parisi: collaboratore corretto e serio PALERMO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE In carcere da due anni e mezzo, Bruno Contrada ieri si è preso una rivincita. Il capo della polizia Fernando Masone lo ha elogiato, in sintonia con le dichiarazioni ugualmente assolutorie rese dopo l'arresto e poi in aula dal suo predecessore Vincenzo Parisi e come ha fatto sempre ieri, nella stessa udienza, un altro ex capo della polizia, il prefetto Giuseppe Parlato. Chiamalo pesantemente in causa da numerosi pentiti, dunque, Contrada può vantare all'attivo le positive affermazioni rese su di lui da tre capi della polizia. E già i sostenitori del questore, per anni ritenuto inflessibile avversario dei boss e diventato poi il numero Ire del Sisde, dicono: «Finalmente la verità». Masone, deponendo come teste citato dalla difesa nel processo con Contrada tormentato imputato davanti alla V sezione del tribunale, ha ricordato di essere stato fino a meno di quattro anni fa questore di Palermo, prima di esserlo a Roma e di assurgere l'anno scorso al vertice della polizia. <i(Juando ero a Palermo - ha dello - il rapporto professionale con Contrada, come spesso accade, si era trasformato in amicizia. Da lui ho sempre ricevuto una collaborazione corretta e non ho mai appreso, né direttamente né indirettamente, di sospetti sul suo conto». Parole che sono sembrale qualcosa di molto simile ad una sorta di salvacondotto per la libertà di Contrada. I due pm Alfredo Morvillo e Antonio Ingroia e il presidente Francesco Ingargiola non hanno posto una sola domanda al teste, contrariamente ai difensori che invece hanno puntato a valorizzare al massimo la deposizione di Masone, facendogli parecchie domande. Un'altra freccia all'arco della difesa l'ha scoccata il prefetto Parlato: anche lui non sentì mai voci né giudizi negativi su Contrada. Lo stesso ha riferito un altro testimone di primo piano, pure ascoltato ieri, Umberto Pierantoni, segretario generale del Cesis, l'organismo di collegamento fra : servizi segreti e anche lui perciò uno che deve sapere abbastanza. Pierantoni ha precisato di aver conosciuto Contrada una quarantina di anni fa, nella questura di Latina, più o meno agli inizi della carriera; ha escluso che Contrada sia stato intimorito, piegato in qualche modo dall'omicidio nel 1979 del capo della squadra mobile Boris Giuliano. Secondo i pentiti, Contrada dopo il delitto avrebbe avuto paura e si sarebbe «ammorbidito». Pierantoni ha attestato che il questore quando andava a caccia di mafiosi, andava al di là dell'impegno comune di un funzionario di polizia. Contrada, che ha nuovamente negato di essere massone, ha ottenuto di prendere brevemente la parola: «Non avevo paura né coraggio - ha affermato scandendo le parole nell'aula silenziosa -, ero solo un funzionario che faceva il suo dovere e a cui dopo la morte di Boris Giuliano 150 agenti guardavano bisognosi di sostegno e speranza». Sempre ieri nell'aula bunker di Rebibbia a Roma, Bruno Lepanto, un cugino di Paolo Borsellino, ha ricordato che la domenica in cui il magistrato fu ucciso - era il 19 luglio del 1992 - poco prima nella sua casa al mare gli aveva detto, a proposito della sua scorta: «Dovrebbero proteggermi da un conflitto a fuoco, ma questi ormai non sparano più, ci fanno saltare in aria». Come a suo tempo la vedova Agnese, il cugino del magistrate ha parlato dell'agenda telefonica rossa di Borsellino. «La notai, l'aveva appoggiata a casa sulla borsa di pelle», ha detto Lepanto. Nella borsa, che nello scoppio fu danneggiata solo leggermente, l'agenda non fu mai trovata. Antonio Pavida Anche l'ex prefetto Parlato ha deposto a favore dell'ex questore di Palermo Da sinistra il capo della polizia Fernando Masone e l'ex questore Bruno Contrada