Uno bianca Mancuso boccia Di Pietro

Duro intervento del ministro «tecnico» del governo Dini: ha sconfinato dal suo incarico Duro intervento del ministro «tecnico» del governo Dini: ha sconfinato dal suo incarico Uno bianca, Mancuso boccia Pi Pietro // Guardasmlli: relazione incostituzionale e scorretta ROMA. «Incostituzionale e scorretto». Il ministro di Grazia e Giustizia, Filippo Mancuso, non usa mezzi termini per affondare la relazione di Antonio Di Pietro sul caso della Uno bianca. E la staffilata è destinata a far nascere un caso nel caso, a pochi giorni dalla discussione che il Csm deve affrontare sulle dimissioni di Di Pietro dalla magistratura. Secondo Mancuso, Di Pietro con la sua relazione avrebbe influito sulla «attendibilità e regolarità» di almeno un processo. E su questo punto il Guardasigilli chiede spiegazioni. Le indiscrezioni sulla relazione di Di Pietro non potevano passare inosservate. Troppo drastici i commenti sul lavoro di altri magistrati. E' addirittura irridente, ad esempio, quando scrive che «l'investigatore smarrisce inevitabilmente la strada maestra e puntella maldestramente quella sbagliata con "misteri" che tali non sono». E infatti a Bologna l'avevano presa malissimo. Riunioni tutto il giorno. Mugugni. E poi, a sera, un comunicato ufficiale grondante irritazione: «Valutazioni di merito, attinenti alla concludenza dei complessi materiali probatori e alla consistenza di varie piste investigative, distinte e pur possibili, non possono essere imposte aprioristicamente e dall'esterno dell'ufficio del pm». Intanto uno dei pm, Lucia Musti, annunciava di avere interessato il suo avvocato per seguire le vie legali contro Di Pietro. Indignata, la Musti: «Le sue affermazioni sono offensive nei confronti di tutti gli inquirenti che hanno lavorato in silenzio in questi anni». Da notare l'accenno malizioso al «silenzio». Ma la vera «bomba» viene dal ministero di Grazia e Giustizia. Il ministro, già magistrato di lungo corso, deve aver fatto un salto sulla sedia leggendo i giornali. Non si amano, Mancuso e Di Pietro. Si racconta che sia stato proprio il ministro a ostacolare la corsa del giudice di Montenero verso la direzione del Sis (il superservizio ispettivo delle Finan- ze) e che l'ostilità sia stata una delle molle per convincere Di Pietro al gran passo delle dimissioni. Ieri, poi, Mancuso ha preso carta e penna e ha scritto alle massime cariche dello Stato. Nell'ordine: Presidente della Repubblica in qualità di presidente del Csm; Corte Costituzionale, presidenti delle Camere, presidente della commissione Stragi, presidenti delle corti d'appello. A tutti ha espresso la sua contrarietà per l'uscita di Di Pietro. Quindi ha inviato ai giornali una lunga dichiarazione. «Ferme restando - scrive - le incontestabili competenze della commissione Stragi, il ministro ha chiesto sia considerato, in sede giuridica e politica, se è costituzionalmente corretto e conforme alle leggi ordinarie il fatto che, sulla base di un incarico conferito dalla citata commissione, un suo collaboratore naturalmente privo di veste e di competenza giudiziaria possa egli stesso formulare valutazioni critiche e contestazioni in ordine ad attività di esclusiva competenza giurisdizionale in corso di svolgimento. Critiche e contestazioni aventi, in virtù dell'immediato e teatrale coinvolgimento della informazione, valore di vera pubblica censura dell'andamento del processo in corso e, quindi, della sua attendibilità e regolarità». Il tono, insomma, come si può vedere, è un po' formale. Ma la sostanza è durissima. Di Pietro avrebbe sconfinato dal suo incarico. Andando addirittura oltre la divisione dei poteri sancita dalla Costituzione, e forte di un incarico parlamentare, il «consulente Di Pietro» avrebbe invaso il cam¬ po della magistratura. Il tutto, infatti, è aggravato dal fatto che a Bologna è in dirittura d'arrivo il processo - stanno per entrare in camera di consiglio i giudici che devono giudicare i tre fratelli Santagata e l'ergastolano Marco Medda - sulla strage del Pilastro. Proprio uno dei casi che Di Pietro ritiene viziati da «pervicacia». Ed era la prima delle osservazioni che facevano i sostituti procuratori di Bologne:: «I giudici verranno turbati da questa polemica». Davanti a questo diluvio di reazioni, su cui peraltro i parlamentari rilasciavano commenti in un senso o nell'altro, il presi-. dente della Commissione, Giovanni Pellegrino, ha provato a mettere rimedio. «L'elaborato ha. fatto sapere, in risposta innanzitutto al ministro - costituisce un documento di studio che sarà nei prossimi giorni sottoposto all'esame della commissione. Pertanto esso, nei suoi profili valutativi, non anticipa né prefigura allo stato gli orientamenti che saranno formulati dalla commissione nell'autonomia istituzionale a essa spettante e nella più ampia prospettiva di giudizio nella quale l'organo parlamentare deve collocarsi». Pellegrino sottolinea insomma che il documento non era destinato alla divulgazione. E che era stato ammesso alla conoscenza dei soli commissari. «Il presidente - conclude - esprime vivo rammarico per la fuga di notizie circa i suoi contenuti». Ma le precisazioni di Pellegrino non basteranno a calmare le acque. A Bologna, in fondo, in molti credono che la Uno bianca nasconda qualcosa di molto più losco. Le affermazioni così drastiche di Di Pietro non possono piacere. E dice Domenico Moneta, padre di uno dei carabinieri uccisi al Pilastro: «Sono esterrefatto e indignato. Di Pietro si permette di giudicare dopo un esame di pochi giorni il lavoro di quattro anni dei magistrati». Francesco Grignetti Il padre di un milite ucciso al Pilastro «L'ex pm di Milano non può permettersi di parlare così dopo un esame di pochi giorni» Fango e dossier Dalla lite col pool a un mondo che lo vorrebbe comprare ■ Certe fughe - il Fanfani del 1959; il Cossiga del 1978; l'Andreotti della solidarietà nazionale - si eseguono, non si annunciano L'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga

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