Creatore e vittima della rivoluzione di Frane Barbieri

La parabola dell'uomo che non si lasciò strumentalizzare Creatore e vittima della rivoluzione La parabola dell'uomo che non si lasciò strumentalizzare Ecco il ritratto inedito di Gilas, che ci ha lasciato Frane Barbieri, uno degli osservatori più informati e lucidi del pianeta social co m u n ista, dal 1978 inviato e commentatore della Stampa, fino alla sua scomparsa nell'agosto 1987. Nato a Makarska in Dalmazia, si era occupato di politica per tutta la vita, dopo l'avventurosa partecipazione alla guerra partigiana. Direttore del Nin a Belgrado, accusato di «liberalismo» e costretto alle dimissioni, Barbieri dal '73 era venuto in Italia. I personaggi di Tito e di Gilas raffigurano per molti versi l'antinomìa della rivoluzione jugoslava. Eppure mi viene più appropriato dire che Gilas è l'ultimo degli artefici originari del titoismo e non l'antagonista del capostipite del protestantesimo comunista. Si è ripetuta anche in questo caso la logica delle correnti innovatrici, combattute fra idee e prassi politica, fra confronti esterni e travagli interni: Gilas, nell'ultimo bilancio, fa parte del titoismo, come uno dei personaggi emblematici, sia nel tratto in cui partecipava nel suo concepimento e nella sua affermazione, sia nel tratto in cui è finito per diventare uno dei suoi critici più esacerbati. La parabola di Gilas è quasi simbolica di un tipo di intellettuali di sinistra, creatori delle rivoluzioni e vittime delle rivoluzioni. Capri espiatori dei propri ideali. Montenegrino, sinonimo nel contesto balcanico di un carattere epico e integrale, ancora giovane studente a Belgrado è stato prescelto da Tito, ritornato da Mosca per rifondare il partito comunista, nel gruppo dei suoi collaboratori più intimi. Incaricato di cultura, ideologia e propaganda ha lasciato memorabili i suoi scontri sulla «sinistra intellettuale». Un'eco, drammatizzata dall'imminenza della guerra, delle diatribe attorno alla preminenza della politica sulla cultura, della prassi incombente sugli ideali astratti, della ragion suprema del partito, per finire con il dilemma di tutte le rivoluzioni: è il fine che giustifica i mezzi o sono i mezzi usati a qualificare anche gli obiettivi? Nella disputa Gilas aveva assunto la parte di Zdanov. Un certo radicalismo aveva poi caratterizzato anche la sua condotta durante la guerra rivoluzionaria. Il massimo scrittore jugoslavo Krleza rivela nelle sue memorie postume che non aveva colto l'invito di associarsi ai partigiani, pur essendo comunista, in quanto temeva che Gilas si vendicasse per il loro antecedente conflitto culturalideologico. L'esito militare e politico, rivoluzionario della guerra aveva dato ragione a Gilas. Lo riconosce lo stesso Krleza, riavvicinatosi poi a Tito, il quale si era prestato ad evitare la rottura sulla «sinistra letteraria», riassorbendo i rinnegati. Anzi 10 scrittore svela una circostanza sconosciuta: il maresciallo aveva in pectore come suoi successori appunto Gilas o Rankovic, entrati poi in collisione con la linea titoista, uno da destra l'altro da sinistra (risultando pure in questo caso poco agevole stabilire cosa fosse la vera destra e la vera sinistra in un contesto progressista). Gilas si era conquistato in quell'epoca un'altra preferenza, quella di Stalin. Poteva segnare la sua sorte in due sensi. 11 padrone del Cremlino contava di creare di lui, «il più intelligente fra i nuovi quadri emersi dalla guerra», l'anti-Tito, il suo uomo a Belgrado, destinato ad emarginare il velleitario maresciallo. Gliel'aveva fatto capire in un colloquio al Cremlino, riportato nel libro di Gilas Incontri con Stalin. L'effetto, invece, fu contrario. Gilas trasse dalle lusinghiere avances la prova dei suoi intimi sospetti, cioè che la politica del partito bolscevico fosse degenerata in un despotismo con proiezioni internazionali. Già prima aveva criticato in seno al Politburo di Belgrado il comportamento degli ufficiali e dei consiglieri sovietici inviati in Jugoslavia a istruire come fare il socialismo (particolare usato poi da Stalin nella sua letteraaccusa a Tito). Al momento della scomunica da parte del Cominform Gilas diventava così il personaggio fra i più esposti nella polemica antistalinista. Fra i primi a scoprire poi l'esistenza di sinistre alternative, a prendere contatti con l'ala laborista di Bevan, con le socialdemocrazie scandinave, con i nascenti movimenti terzomondisti. Impegnato con Tito, Kardelj, Kidric e Pijade a risolvere il problema cruciale: da dove nasce la degenerazione del bolscevismo sovietico? Si spinge oltre gli altri. Non tanto forse come idee quanto nella diagnosi della loro praticabilità. Il distacco infatti nasce da una serie di articoli sul Borba nei quali Gilas prospetta lo scioglimento del partito comunista, non in chiave di un nuovo pluralismo politico, ma nella visione di una società autogestionaria integrale in cui il partito deve disperdersi, non essendo più necessario come sovrastruttura bloccante. Nel concetto che fa scoppiare il caso Gilas, conclusosi con la sua espulsione dal comitato centrale, si mescolava un po' di tutto: giovane Marx, Lenin dello Stato e Rivoluzione, Trozkij nella fase del Profeta disarmato, la riscoperta di Bernstein e di Kautsky, attraverso la riscoperta dell'altra sinistra europea, ma vi si trova oltretutto la propensione utopistico-letteraria del personaggio montenegrino, che fino all'ultimo rimarrà fra revisione ideologica e interpretazione letteraria del mondo moderno e dei suoi fenomeni. Portato dalla disavventura politica e personale a scavare non più soltanto nelle radici del conflitto fra Tito e Stalin, ma pure nelle ragioni della sua rottura con il proprio partito, Gilas giunge al teorema che rimarrà il più qualificante ed importante delle sue inquiete ricerche intellettuali. Ipotizza la nascita di una «nuova classe» in seno al socialismo, società destinata a eliminare tutte le classi; la classe di nuovi privilegi dominanti annidati nel partito del nuovo potere rivoluzionario. La sfida intellettuale diventa a questo punto «diversione politica» e porta Gilas alla condanna e al carcere per quattro anni. La Nuova classe, libro uscito prima negli Usa per poi conquistare il vasto respiro mondiale, fu tacciato nella Jugoslavia come quinta essenza del revisionismo nel quadro revisionista: segnava il marchio oltre il quale il titoismo non poteva spingersi senza rinnegare le proprie origini. A lungo andare però scopriamo un quasi paradosso: il libro Nuova classe rimane all'indice nei Paesi socialisti e nel Paese dov'è nato, la sua tesi di fondo si trova tuttavia assorbita nelle elaborazioni teoriche titoiste, mentre in Occidente il libro di Gilas fa ormai parte della letteratura selezionata del progressismo e riformismo moderno, accettato dai socialdemocratici e dagli eurocomunisti. Espulso con forza, e spontaneamente uscito, alla fine rientra non solo nella sinistra ma anche nel titoismo illuminato. Frane Barbieri Milovan Gilas nel gennaio '55 all'uscita da un processo. Sono con lui la sorella (a sinistra) e la moglie Stefania