Mozart e Beethoven dittatori nei teatri

20 discussione. Boicottati i capolavori del Novecento: pigrizia, ignoranza o mercato? Mozart e Beethoven dittatori nei teatri I i>]ER pigra abitudine, per Il bisogno di consolazione, 1^ j o perché suonano me- I glio? Ma certo nel campo I a 1 della musica classica succede qualcosa di unico, di impensabile per le altre arti: si eseguono quasi soltanto i grandi del passato, i defunti. Una ricerca della rivista tedesca Focus relativa a seimila concerti tenuti nella musicalissima Germania nel 1994 pesa come un macigno sulla popolarità dei compositori contemporanei: non uno figura nei primi dieci, non una loro opera nelle prime venti, non un loro disco entra nella hit-parade dei titoli più venduti. Vincono gli eterni classici, i più consumati e i più amati, da Bach a Mozart, da Schubert a Ciaikovskij. Soltanto Maurice Ravel, con il Bolero e la Valse, riesce a scalfire quel monopolio: ma il maestro francese è morto nel 1937. Sarebbe come leggere Foscolo, Manzoni, Leopardi, fermandosi a Pirandello. Amare i quadri di Tiepolo e Canaletto, ma non spingersi oltre gli impressionisti. Editori di libri, galleristi e mercanti d'arte avrebbero molti motivi per preoccuparsi. «Se questi programmi sono lo specchio della nostra cultura musicale, allora significa che ci siamo già istupiditi», dichiara a Focus Hans-Hanning Wittgen, responsabile amministrativo della Società tedesca degli Editori. «Stiamo scontando la mareggiata di incultura che ha permeato tutta la società», dice Goffredo Petrassi, decano dei compositori italiani, commentando questi dati. «La musica moderna è respinta perché si tende a respingere l'impegno, lo sforzo che procura poi una gioia pari a quella che posso- no trasmettere i romantici e i maestri dell'epoca classica. Non ha senso parlare di primato di quella musica: si manca di rispetto agli artisti di oggi. E' più eseguita perché è entrata nella consuetudine e si consuma con più facilità». Il tempo galantuomo? Di parere diverso è Carlo Maria Giulini: «Il tempo è crudele, la storia è crudele: restano i geni, gli artisti che in tutte le arti hanno arricchito l'umanità di opere rimaste vive attraverso il tempo. Vada a Tokyo, Los Angeles, Helsinki, Berlino: Mozart piace a tutti, e io dirigo musicisti che fanno parte della mia vita». Nessuna curiosità, maestro? «Da giovane ho suonato molto Casella, Malipiero, Pizzetti, Zandonai e Respighi: tranne l'ultimo, gli altri sembrano spariti». A sentir parlare di «crisi della musica» Luciano Berio si arrabbia: «Nessuna crisi, esistono soltanto opere più o meno significative. In italia la situazione è drammatica perché le istituzioni rischiano pochissimo: i nostri compositori di oggi vengono eseguiti all'estero, ma noi non siamo neppure in grado di ricambiare gli inviti». Maurizio Pollini sfata il luogo comune di una minore capacità emozionale posseduta dalla musica del Novecento, di un primato linguistico del sistema tonale che ha governato per tre secoli la sin¬ tassi musicale: «Considero le opere di Schònberg per pianoforte tra la musica più emozionante, più toccante che sia mai stata scritta». «E' il perpetuo rinnovarsi della musica a rendere più difficile l'apprezzamento del pubblico al primo colpo d'orecchio», riflette Roman Vlad, direttore artistico della Scala. «Questa statistica non mi sorprende troppo, le difficoltà patite dai compositori contemporanei ci sono sempre state: penso all'ultima stagione sinfonica organizzata da Mozart, quando ebbe un solo abbonato. Al ritardo con cui sono state eseguite l'Incompiuta e la Grande di Schubert, all'ignoranza di Mahler in Italia prima di Morte a Venezia di Visconti. Oggi, la situazione è aggravata dai massmedia, che propongono soltanto musica leggera». «Si arriva al contemporaneo attraverso una progressione», dichiara Gioacchino Lanza Tornasi, direttore artistico del Teatro Comunale di Bologna. «Se si esegue poco il repertorio degli Anni Dieci e Venti del Novecento, è difficile capire i capolavori degli Anni Sessanta e Settanta. Nel nostro secolo è esploso il colore orchestrale, da Debussy a Stravinskij, a Bartok: sono opere che danno soddisfazione all'orchestra, piacere al pubblico, che ormai le ama». Più amara è la realtà dei con¬ temporanei, soprattutto per i titoli del teatro musicale... «L'incasso è oggi un parametro angosciante, e questo non facilita la ricerca. Stiamo diventando molto provinciali: le opere di Adams, Glass, Henze potrebbero avere successo, eppure non si fanno. A differenza degli altri Paesi europei, in Italia perfino la Radio sembra aver rinunciato alla sua funzione di propulsione: le orchestre Rai da quattro sono diventate una, e quella superstite di Torino mi sembra intenda porsi sul mercato come qualsiasi grande complesso sinfonico». Osare di più talvolta premia: sala piena all'Auditorium di Santa Cecilia a Roma, per un concerto del Quartetto Kronos, interamente riservato al repertorio contemporaneo, da Adams alla Gubaidulina. E, soltanto vent'anni fa, sarebbe stato impensabile l'esaurito fatto registrare nei quattro concerti che, il mese scorso, ancora a Roma, Giuseppe Sinopoli ha dedicato alla Terza Sinfonia di Gustav Mahler che pure non figura, né in Italia né in Germania, tra i dieci compositori più eseguiti. E Carlo Fontana, sovrintendente della Scala, ricorda le «nove recite sempre esaurite della Walkiria diretta da Muti che ha inau¬ gurato la nostra stagione»: già, non è raro incontrare qualche melomane che, al nome di Wagner, ancora storce la bocca. «Sono gli interpreti che contano a dover avere più coraggio, siamo noi che dobbiamo puntare i piedi: quest'estate eseguirò a Salisburgo i Capricci per violino di Sciarrino», ci dice Salvatore Accardo. «Ma a Salisburgo governa Gerard Mortier : lui non dimentica che un Festival deve avere un orecchio vigile verso la contemporaneità. La sua è una dolce rivoluzione in quello che era il tempio della tradizione, e inoltre ha l'intelligenza di farsi consigliare da grandi musicisti, da Pollini, ad esempio». Quanto influisce l'atteggiamento delle case discografiche? «Se la statistica di Focus è esatta, significa che è una questione di mercato: si dà al pubblico quello che si pensa il pubblico preferisca. I discografici sono poco coraggiosi anche perché per incidere la musica contemporanea devono pagare dei forti diritti d'autore». Qualche nicchia, tuttavia, al Novecento è riservata: la Deutsche Grammophon «regala» Mutter-Modern, un cofanetto di quattro compact disc in cui la giovane violinista interpreta i concerti di Stravinskij, Bartok, Berg, Lutoslavski, Ruini. E per i settantanni di Pierre Boulez la casa tedesca concepisce una «Boulez Edition» di nove dischi. Ed è proprio dal maestro francese che, sull'esempio della nuova e «sua» Cité de la musique di Parigi, viene un'indicazione concreta: si possono creare occasioni favorevoli alla musica nuova attraverso la piacevolezza del luogo, l'originalità dei programmi, la qualità degli interpreti. Si può ribattere con fantasia e intelligenza alla forza dell'abitudine, per sottrarre i compositori di oggi a quel limbo nel quale sembrano costretti a galleggiare, trascurati dal mercato, annusati pon inspiegabile diffidenza dal pubblico. Sandro Cappelletto Mdei media è giusto o igenii ine, per olazione, ano me- el campo sica sucdi impeni eseguoandi del a ricerca us relatinuti nella nia nel gno sulla tassro leper sicapiù stat«Emusl'appprimRomdellami spati A fianco Johann Sebastian Bach, qui sotto Ludwig van Beethoven. La silhouette a sinistra è di Wolfgang Amadeus Mozart Vlad: colpa dei media Giulini: è giusto sopravvivono igenii