Pichetto: Cavour voterebbe per me di Massimo Gramellini

Pichetto: Cavour volerebbe per me Pichetto: Cavour volerebbe per me ITORINO L dibattito più sincero - Biscardi direbbe "spontaneo" della campagna elettorale piemontese si mastica in incognito nella saletta di un ristorante del centro, già residenza dei primi ministri del Regno; dove Cavour leggeva i dispacci adesso stanno servendo un piatto di carciofi. Beppe Pichetto, candidato in rimonta degli antiberlusca, è quello con la forchetta in aria e la faccia a forma di cucchiaio, che pare uno spot "vej Piemont": sguardo triste ma fiero, borbottio da caffettiera ma concetti nitidi, conclusi quasi sempre da un «è ora di tirarsi su le maniche, oh basta là». I berluscones non schierano la forchetta titolare Enzo Ghigo (comparirà più tardi, sorridente e perfettamente stirato, davanti a una platea di soci della "Mandria"), ma un fuoriclasse analogo, suo mandatario elettorale: il presidente degli impresari edili Franco Stradella, ex de con "vaucher" di Forza Italia; un albcrtosordi subalpino, interprete sublime di questa destra simpatica, leggerona e senza complessi che fa battute sulle donne davanti a loro, unge i vestiti per eccesso d'appetito e fra una barzelletta e un affare vince nella vita e, da sempre, le elezioni. Fra i due, amici da trent'anni, la differenza di carattere è diventata anche politica: un segnale clamoroso dei tempi che il ghighiano Stradella si rifiuta di accettare fin dall'antipasto: «Beppe, ma tu sei dei nostri, che ci fai lì coi comunisti?» «Cerco di far riflettere quelli come te. Scusa: sono Pichetto o Stalin?». «Sei Pichetto. L'industriale, però». «E sono forse ammattito?». «Boli». «Te lo dico io: no. E allora, se a 57 anni sono passato da questa parte, rifiutando la vostra offerta di correre per il Polo, vorrà ben dire qualcosa. E' che non sopporto questa destra affarista e sciattona, questo Sgarbi che viene a Torino e parla per quindici minuti dei costumi sessuali della Pivetti, povera donna, questo Ghigo che affitta il San Giorgio per la sua festa elettorale e spende un sacco di soldi in volgarità e cafoneria. Le tv vi hanno imberlusconiti». «Ma perché odi tanto il povero Berlusconi?». «Perché dice un sacco di "tavanate". Sarà mica una destra storica, questa. Se fossero vivi oggi, Giolitti ed Einaudi voterebbero per me. E persino Cavour». «Cavour che vota i comunisti, ma piantala! Guarda qui, piuttosto, per colpa tua mi si è macchiata la cravatta. Adesso come mi presento da mia moglie?». «Non hai con te il kit del candidato?». Pichetto ha un suo humour, rigorosamente a bocca tetra. Molto piemontese: dietro l'aspetto quadrato, affiora il guizzo dell'anarchia. Sarà forse banale un signore che in vita sua ha dato 45 (quarantacinque) esami in tre facoltà diverse senza concluderne nessuna? Non è «dottore» in nulla, ma ha fatto fortuna con le erbe per liquori e allora tutti lo chiamano «ingegnere», il titolo che i torinesi usano quando vogliono far sentire importante qualcuno. Stradella è più immediato, cerca lo spettacolo: «Ti ho invitato a pranzo perché ci interessa mantenere un buon rapporto con l'opposizione». Pichetto gli punta addosso un rubata: «Non cantate vittoria troppo presto. Sono partito indietro, ma in un mese ho visto nascere una specie di partitino personale, un 3% di gente che nel proporzionale sta a destra, ma per la presidenza voterà me. Mi hanno conosciuto alla Camera di commercio e all'Unione industriale. Si fidano». «Anch'io, di te. Ma D'Alema ti metterà i suoi uomini addosso e la burocrazia sessantottina che lavora in Regione ti imprigionerà. Sono comunisti». «Lo erano». «Lo sono». «Lo erano». «Lo sono». «No, lo erano. Stanno cambiando e comunque, se mi strangolano, sai che faccio? Io mi dimetto, oh basta là». Stradella va in cerca di uno smacchiatore per la cravatta e Pichetto può specchiarsi sottovoce nel bicchiere di «bianco» astigiano: «Sulla burocrazia ha ragione lui. Qui scappano tutti. So di una ditta in Val di Susa che voleva raddoppiare i locali: le hanno chiesto quarantadue permessi, tre anni d'attesa. E' emigrata in Rhóne-Alpes e dopo tre mesi era tutto fatto. Colpa del rigidume piemontese: ogni tanto bisognerebbe applicare le leggi con un po' di napoletanità. Ma colpa anche della cultura anti-industriale del vecchio pei. Eh, c'è tanto da riformare a sinistra, se vinciamo. Zitti, sta tornando». Il «grande elettore» di Ghigo riappare con la cravatta unta e una mano dietro la schiena. «Non avevano il viavà, ma in compenso in un cassetto ho trovato questo». E, più rapido di Clint Eastwood, estrae un adesivo di Forza Italia e lo attacca alla giacca di Pichetto. «Ti dona, sai?». «Che vita, non si capisce più niente. Fini dice che "sono un problema": sì, per lui, spero. Il tuo Berlusconi, livido, mi ha puntato il dito contro in Confindustria: "Compagno Pichetto, si vergogni, questa gliela farò pagare". E Pininfarina: "C'è voglia di destra e tu ti metti con quelli di una volta". Uffa. Di là, è quasi peggio. L'ex sindaco Novelli: "Votare Pichetto", mi ha detto, "pure custa am tuca, prima 'd moire (anche questa mi capita, prima di morire)". Un sindacalista della Cgil mi ha chiamato "padrone". E uno dei vostri, Forzitalia o giù di lì, quando ha saputo che collezionavo libri sui Savoia mi ha ribattezzato "il comunista monarchico"». «Perché, cosa sei?». «Sono un prodiano. Per quanto, modestia a parte, ho già sorpassato il modello, Prodi sta ancora pensando alle fronde, mentre qui dopodomani io devo già fare le olive». Stradella ha un sussulto: «La cravatta, guarda! E' sparita la macchia, miracolo. Grazie, Silvio». Ride, per fortuna. «Toglimi una curiosità, Beppe: li mangiate ancora i bambini?». Pichetto sta guardando un vaso pieno di fiori: «Mi sa che mi mangio quelli, piuttosto. Sono la mia passione segreta. Me li faccio spesso in insalata: primule, viole, olio, aceto e via andare. Un giorno a Bruxelles, noi e i tedeschi ci guardavamo in cagnesco, ma tutto si è risolto quando mi hanno visto masticare la composizione floreale a centro tavola». Stradella si congeda, magnanimo: «Non preoccuparti: se perdi, ti risparmieremo». «Se perdo, non entro in consiglio regionale, torno a fare il mio mestiere. Se vinco, invece, per prima cosa vado a Roma e mi faccio dare indietro i soldi dell'alluvione. E poi voglio vedere in faccia quel bel tomo che ci ha chiuso l'Alenia. C'è tanto da fare: eravamo all'avanguardia, ma adesso la Torino-Savona ce l'abbiamo solo noi. E' ora che il Piemonte la smetta coi mugugni e si tiri su le maniche». E fa il gesto di sollevare le sue, fino alle ascelle. Massimo Gramellini

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