La sinistra: tra i leader troppi i «visi pallidi» di Raffaella Silipo

La sinistra: tra i leader troppi i «visi pallidi» A CACCIA DI CARISMA La sinistra: tra i leader troppi i «visi pallidi» LA riserva indiana apre ai visi pallidi, ma non tutti i capi tribù sono d'accordo. La vocazione opache della sinistra era chiara fin dal Festival di Sanremo, dove Sabina Guzzanti guidava un coretto di intellettuali con piuma in testa, tra cui Alessandro Curzi, Luigi Manconi, Bruno Voglino e Mario Capanna. Si chiamavano «Riserva indiana», appunto, ma dissero polemicamente: «Non illùdetevi. Noi nella riserva non ci stiamo». Sarà per evitare la sindrome da razza in via d'estinzione, che gli apaches hanno aperto le porte ai visi «pallidi» Badaloni e Masi, Pichetto e Mori e Bentsik, cinque candidati alla presidenza di altrettante Regioni, che nulla con la storia della sinistra hanno a che vedere, ma vantano piuttosto un «bianco» passato de o addirittura un berlusconismo mancato? E' la scorata tesi di Luigi Pintor, direttore del «manifesto»: «I leader una volta erano una cosa seria - scrive - e infatti neppure si chiamavano così, con questo termine d'importazione, come le vedettes... non erano specchietti per allodole». Che la destra cerchi di rendersi appetibile sfoderando «specchietti» di centro, era prevedibile, dice Pintor. Ma persino a sinistra «si va in cerca di leader improvvisati. Grave errore, altro segno di una perdita di stile e senso di sé. Una volta la sinistra li sapeva costruire, i suoi esponenti. Ora va in cerca di personaggi ma non li trova, o li trova, in genere, piuttosto pallidi». Votare i visi pallidi è addirittura «osceno» per Fausto Bertinotti, leader di Rifondazione Comunista, che attacca duramente Massimo D'Alema e il suo invito alla sinistra a «turarsi il naso» e dare un voto utile per il maggioritario, oltre a quello ideologico nel proporzionale. «Questa campagna perii doppio voto la trovo oscena politicamente - dice -. Di fronte a candidati invotabili come quelli che il pds sostiene in Lombardia e in Piemonte è assurdo chiedere agli elettori di scindersi. Spero piuttosto il contrario: che gli elettori del pds votino Rifondazione, dando così un messaggio, perché si ricominci a parlare a sinistra di questa unità, nell'interesse dei lavoratori, di pensionati, donne e giovani». Ma chi sono i visi «pallidi», gli «invotabili»? Quello che simboleggia meglio l'imprescrutabile arcano della nuova politica della Quercia è il «compagno» Fiero Badaloni, ex boy scout, giornalista Rai che da decenni simboleggia sugli schermi del Tgl la soavità cattolica e la benigna moderazione democristiana e oggi corre per il Lazio contro il collega di tg, e suo replicante, Alberto Michelini. E in Lombardia? Il pubblicitario Diego Masi è quasi la fotocopia di un manager di Publitalia: ama i numeri, chiama la sua coalizione «marchio», si vanta di essersi «fatto da sé» e nel manifesto elettorale ha fatto stampare un «Masi for president». Se non bastasse, ha partecipato agli sgomberi del Leoncavallo e ha in altri tempi appoggiato la candidatura di Adriano Teso, di Forza Italia. Nonostante tutto, crede che la sinistra lo voterà: «Alla fine baceranno il rospo, perché è l'unico che mangia le formiche, e i Formigoni», ridacchia, pensando al favoritissimo avversario. A leggere le biografie degli sfidanti alla poltrona di certe Regioni, sembra quasi un caso che si trovino da due parti diverse della barricata: il banchiere veneto Ettore Bentsik, già sindaco di due pentapartiti «bianchi» a Padova, era stato invitato ad Arcore come possibile candidato insieme al suo avversario Giancarlo Galan, manager di Publitalia. Anche Giuseppe Pichetto, già presidente dell'U- nione Industriali di Torino, piaceva a Berlusconi, che lo riteneva non meno adatto del «suo» manager Enzo Ghigo per la guida del Piemonte. Come del resto il genovese Giancarlo Mori, moroteo, una vita passata nello scudocrociato, dalla Fuci alla segreteria provinciale de, dalla presidenza della Provincia alla Regione. In comune con il suo rivale Sergio Magliola ha persino la marca dell'orologio. Uguali contro uguali, dunque, candidati «trucco della politica - scrive Pintor - come la pubblicità è un trucco del commercio». E dietro ogni vittoria possibile spunta, pallido, il viso del fantasma de. Raffaella Silipo Il «manifesto»: «Perché andiamo in cerca di capi improvvisati?» E Bertinotti: a Torino e Milano candidati invotabili Sabina Guzzanti e la «Riserva Indiana» al Festival di Sanremo A sinistra Pintor Qui sopra Bertinotti a destra Badaloni