La Rai apre gli archivi alla memoria italiana di Simonetta Robiony

Due nuovi cicli sulla piccola e grande Storia Due nuovi cicli sulla piccola e grande Storia La Rai apre gli archivi alla memoria italiana ROMA. Nel solito orario punitivo, poco prima di mezzanotte, la terza rete torna a giocare con la memoria attraverso due cicli costruiti ricorrendo al famoso archivio Rai. Uno è un ciclo sui grandi fatti della storia, l'altro è sui fatti minimali del nostro passato prossimo, quelli che non stanno sui libri ma nella nostra testa e soprattutto nel nostro cuore. Un confronto curioso, destinato ai nottambuli, ma capace di qualche suggestione. Il primo ciclo, «La Memoria Inquieta», si apre domenica 23 aprile, con un ricordo della Liberazione: «25 aprile '45-25 aprile '95», a firma di Guido Chiesa e Giovanni De Luna. A seguire, per quattro lunedì, «Mal d'Africa» di Valerio Marino, «Hitler e Mussolini» di Nicola Caracciolo, il famosissimo «I 600 giorni di Salò» del duo Marino-Caracciolo, già uscito perfino nelle sale cinematografiche, e «La caduta di Berlino», un programma con materiali d'archivio prodotto all'estero. Molte perplessità su questo speciale per la Liberazione ricavato da materiali dell'Istituto Luce, da spezzoni di telegiornali, dagli archivi del movimento operaio. L'idea dei realizzatori è quella di usare la data del 25 aprile come lente d'ingrandimento per guardare ai 50 anni di storia italiana: vedendo come, anno dopo anno, viene ricordata e celebrata, lo spettatore dovrebbe intuire i mutamenti politici e sociali del Paese. Ma l'operazione finisce per diventare di difficile comprensione, dal momento che non c'è commento alcuno e tutto è affidato alle immagini. Per capire che la tv era un monopolio democristiano basta notare che, a parlare in piazza del 25 aprile, per anni si vedono solo De Gasperi, Taviani, Bo, Moro, Merzagora, Andreotti, Leone, Gui e perfino la Falcucci, mentre per vedere il primo comunista si deve aspettare il '66, quando compare Longo, segretario del pei. Basta per chiarire certi antichi rapporti inquadrare per un secondo, anonimamente, la faccia di Salvo Lima, sotto un palco a Palermo? E se uno non ricordasse la diatriba di Fini su fascismo e antifascismo come potrebbe spiegare la folla giovane e caldissima che si riversò l'anno scorso nelle strade di Milano, sotto una pioggia battente, per ribadire certi valori in antitesi al governo di Berlusconi? Il secondo ciclo, «Ho sognato di vivere», si apre invece proprio martedì 25 aprile, con il ritratto di una grande famiglia di origine contadina che 20 anni fa era stata ripresa dalla tv per la serie «Ritratto di famiglia» e adesso, a vent'anni di distanza, si rivede e si commenta raccontando com'è cresciuta. A firmare questo picco¬ lo «com'eravamo e come siamo» è Raffaella Spaccarelli, autore di una rivisitazione di «La donna che lavora» e di un «Viaggio sul Po» di Soldati. Lo stesso tono affettuoso e partecipe, la stessa cura per le facce, la stessa attenzione per i particolari che restituiscono i sapori e gli odori di un'epoca. Strepitosa in questa prima puntata la testimonianza della donna: vent'anni fa, a quarant'anni e con sei figli piccoli, era una figura dimessa e silenziosa, oggi, vent'anni dopo, si scopre forte e saggia. In chiusura di questo piccolo viaggio all'interno di una Italia di ieri, figlia di una storia senza maiuscole che sarebbe piaciuta ad Elsa Morante, la puntata unica «Non sapevo dove nasce il sole» dedicata a chi allora aveva vent'anni ed era stato intervistato nel programma «I 20 anni di tre generazioni». Sono le storie di quattro ex ragazzi: un operaio della Fiat, attualmente sindacalista a Bologna, animatore allora delle lotte in fabbrica del '69; un perito calabrese, oggi operaio edile, emigrato a Torino ma finito in carcere con l'accusa di aver fiancheggiato le Br; un giovanotto alternativo che continua a fare l'orafo ma sogna ancora la confusione creativa di quegli anni; Francesco Rutelli, il sindaco di Roma, allora manifestante fuori del tribunale militare a favore dell'obiezione di coscienza. E l'intervista più banale, purtroppo, è proprio la sua. «Non ha voluto farci filmare la casa, né lo studio, né i figli, né la libreria - dice la Spaccarelli -, ci ha lasciato 48 ore con la troupe in attesa dell'appuntamento, l'ho inseguito in strada per catturarne rimmagine. E' ovvio che seduto sulla sedia del Campidoglio da lui si ricavi solo l'ufficialità». Simonetta Robiony Guido Chiesa, «La memoria inquieta»

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