Il dialogo degli esiliati HESSE-KERENYI

Il dialogo degli esiliati Due grandi solitari contro la barbarie: il carteggio tra lo scrittore e lo studioso di miti HESSE-KERENYI Il dialogo degli esiliati KAROLY Kerényi, il grande studioso di miti ungherese, decise nel '36 di fare il viaggio di nozze con la - seconda moglie tra i siti archeologici dell'Italia settentrionale. Seguì il consiglio di un amico e allungò il viaggio fino a Montagnola, un'insenatura sul lago di Lugano che sembrava un'isola greca. Lì, dal 1931, nella casa che l'amico Hans Bodmer gli aveva messo a disposizione, viveva in esilio Hermann Hesse, diventato cittadino svizzero, punto di riferimento per gli intellettuali della diaspora tedesca, inviso al Reich perché continuava a recensire libri di ebrei. Il campanello suonò mentre il paese era assorto nel silenzio del pranzo. Sulla soglia apparve lo schivo Hesse. Kerényi pensò subito che somigliasse a suo padre, a suo nonno. Non era vero, era semplicemente il sintomo dell'inconscia agnizione di una fratellanza spirituale. Quel caldo pomeriggio d'agosto, di fronte a una tazza di caffè, fu l'inizio di un rapporto che si tradusse nello scambio epistolare in uscita da Sellerio col titolo Corrispondenza con Hesse. Cinquantacinque lettere, dal '43 al '56. La saggezza del Siddharta Kerényi conosceva appena Hesse. In Ungheria «non è mai stato un autore così amato come Mann». Aveva letto il Siddharta e ne aveva apprezzato la saggezza. Hesse, invece, probabilmente non aveva nemmeno sfogliato il saggio sugl'Immortalità e religione di Apollo che Kerényi aveva pubblicato nel '34.1 due letterati non avevano interessi comuni «mitologici» (come nel caso del complesso carteggio Kerényi-Mann), né amicizie giovanili o tratti di vita percorsi in comune. Condividevano solo l'amore per l'erudizione, una comune lotta spirituale per una società «umana» mentre Germania e Ungheria parlavano la lingua del totalitarismo. Mentre tutto intorno crolla, si tende, si insanguina i due studiosi si scambiano poesie, progetti di saggi, libri, idee. Scordano la guerra, parlano di religione, di mito, di spirito. Dimostrano nella serenità di poche distillate parole che l'umanesimo è l'unica egida in grado di proteggere dalle catastrofi del mondo. La prima lettera conservata da Hesse è del Natale '39. Kerényi lamenta: «In Europa ci hanno privato delle festività»; segue con apprensione i fratelli finlandesi che resistono con eroismo all'aggressione sovietica; dimenticai venti di guerra con Huizin- ga e il Kalevala, la saga mitologica finnica. Ma parte dell'epistolario, pubblicato poi a cura di Kerényi, andò distrutto nell'assedio russo di Budapest nel '45. Il carteggio «ticinese» comincia così nella domenica delle Palme '43, quando ormai anche l'intellettuale ungherese è approdato in Svizzera. I due scrittori sono «indigesti a ogni dittatura, destinati a essere tarli nell'impalcatura». Kerényi in Ungheria, all'ombra di Horthy fascista ma soprattutto patriota, mantiene viva la tradizione del pensiero liberale. Hesse fa della sua casa in Svizzera un cenacolo di fuorusciti. Ma, a differenza di molti intellettuali della diaspora germanica, non crede che la salvezza verrà dagli eroi del momento, gli americani. Una lettera del giugno '44 è indicativa. «Vedo Shiva mandare in frantumi il mondo e so che Vishnù ne creerà uno nuovo che, beninteso, non avrà nulla da spartire con i piani per il dopoguerra dei giovani americani». Subito dopo la guerra, gli yankee liberatori mostrano di non capire la vera essenza di Hesse, antinazista della prima ora, nel nome dello spirito. Amareggiato, Hesse scrive: «Quell'ufficiale americano, un somaro, a cui per di più gli Stati Uniti sono andati ad affidare il compito di rimettere in piedi la stampa tedesca, m'ha comunicato che la mia voce non appartiene a quelle che egli farà in modo che vengano ascoltate nella Germania odierna, poiché io secondo lui me ne sarei stato seduto al sole del Ticino e non mi sarei preoccupato di nulla, mentre Thomas Mann e altri avrebbero lottato contro Hitler. Che io, dieci anni prima di Mann, per buoni motivi, abbia voltato le spalle alla Germania, mi sia ritirato dall'Accademia e sia divenuto svizzero, quest'uomo, che come ufficiale e americano non è tenuto ad averne al¬ cuna conoscenza, naturalmente non lo sa. Dunque, certamente neppure gli rispondo, ma questo fatto m'ha mandato in bestia». Hesse e Kerényi si mandano libri, estratti delle ultime ricerche. Uno regala la nuova edizione di Narciso e Boccadoro; l'altro risponde con Le figlie del sole. Ma il momento più commosso è la lettura del Giuoco delle perle di vetro, il romanzo che Hesse ha covato per dodici anni ed è inciampato in disavventure editoriali. Doveva uscire da Fischer, ma la Gestapo ne proibì la pubblicazione perché «un capitolo si svolgeva in convento»: apparve in Svizzera nel '43, per i tipi di Fretz & Wasmuth. Per festeggiare un compleanno, Magda Kerényi invia a Hesse un sacchetto cQ riso. Nell'ultimo anno di guerra la vita sembra davvero ricominciare. Scrive Kerényi nel gennaio '45: «Stamattina ci svegliamo di buon umore, senza che vi siano particolari motivi. Mia moglie inizia ad avere le prime doglie e telefona alla sua ginecologa: "La dottoressa non c'è, cosa desidera?" domanda la voce imperturbabile della sua assistente. "Desidero mettere al mondo un bambino", risponde mia moglie ridendo con gioia, sentimento che, in questa città puritana, appare totalmente inconcepibile». Al Nobel (vinto da Hesse nel '46) solo un pudico rapido accenno da parte di Kerényi. «Coscienza dello spirito: che bello che ciò esista ancora riempiendoci di caldi sentimenti! Sì, anche in Svezia sembra che esista ancora. Quando l'ho appreso ho provato una grande gioia». La «Cortina» m'inghiottirà La battaglia condotta nel nome dello spirito, dell'umanesimo, dell'erudizione, del singolo contro la massa, non finisce col '45. I guai per l'eremita Hesse sono terminati. Cominciano invece per Kerényi, dopo che l'Ungheria si è trovata dall'altra parte del mondo. Teme di «sparire» dietro la cortina. Si definisce «uomo delle frontiere, forse anche contrabbandiere degli Dei pagani nei Paesi cristiani e atei». Quando si reca nel suo Paese per una conferenza, capisce che i comunisti renderanno definitivo il suo esilio in Svizzera. E conclude: «Così il mondo spietatamente si colora di nuovo di due tinte: qui gli orientali, là gli occidentali. Dov'è finito il vecchio sfarzo di colori! Rimane solo quello della natura». Kerényi e Hesse si scrivono fino alla metà degli Anni 50. Le lettere si diradano (emergeranno anche lievi dissapori). I problemi cambiano caratura. I coniugi Kerényi si preoccupano per la cuoca che vuole lasciarli. Hesse diventa bisnonno, è assediato dalla vecchiaia, ma prova ancora emozione per una conferenza su Hòlderlin. Uno si tuffa sempre più nei miti, l'altro nel giardinaggio e si illumina di gioia per il primo croco spuntato in giardino. Il carteggio si sfarina, ma continua a mostrarci il volto di due uomini dietro le loro Opere. Fino in fondo, fino a quando i colori della primavera appaiono troppo crudeli per gli occhi di un vecchio, emanano la forza serena di chi ha scelto di vivere nel nome dello spirito e non in quello della mondanità. Bruno Ventavoli L'uno abbandonò la Germania di Hitler l'altro fuggì dall'Ungheria fascista di Horthy Un'amicizia nata in Svizzera nel 36: poesia, letteratura e giardini per salvare la libertà dello spirito dal trionfo dei totalitarismi esiliati A STAMPA tra lo scrittore ENYI e lo studioso dUn'amicizia nata inpoesia, letteratura eper salvare la libertdal trionfo dei totalmotivre le psua gnon cda la sua as