Galan: l'avventura del Signor Nessuno di Curzio Maltese

Galan: l'avventura del Signor Nessuno Galan: l'avventura del Signor Nessuno PPADOVA ER passare una mattinata tranquilla nel demenziale centro di Padova, non esiste compagno migliore di Giancarlo Galan. Nessuno vi disturberà. Si fa così. Appuntamento all'ora dell'aperitivo al Caffè Pedrocchi, il salotto buono della città, già covo extralusso dei bombaroli neofascisti. Quindi passeggiata storica fra i palazzi palladiani e struscio in corso Europa, la Montenapoleone patavina. Infine ritorno al Pedrocchi per uno spuntino veloce. Durata del tour circa tre ore. In questo tempo il probabile presidente della Regione, baristi a parte, viene riconosciuto da non più di cinque o sei persone: due tavoli di avventori del Pedrocchi, saturo di manager e bravi borghesi («tutti potenziali clienti del Polo») e per strada da una signora in visone anticomunista, che s'informa dei movimenti di «Silvio»: «Ma Lui quando ce lo fate vedere anche a Padova?», sospira. E Galan, professionale: «Non ha visto i cartelloni? Il Dottore è stasera alle 21 all'Hotel Ramada». Il visone s'illumina d'immenso, il candidato mi sorride un po' mesto: «Non infierisca». Non c'era bisogno. Fra tutti i prestanome schierati per il 23 aprile da Silvio Berlusconi - mica può fare il presidente di tutto Giancarlo Galan è il più simpatico, intelligente, umano. Nonostante il terrificante curriculum di quarantenne bocconiano - con master incorporato e decennale carriera «in» Publitalia - sembra un buon diavolo. Tanto per cominciare non ha l'aria del plasticone di Publitalia. Grande e grosso, se ne frega delle diete, ha il senso dell'ironia, scherza, suda e non si pettina. Legge parecchio, gli fa schifo il karaoke e, invece di giocare a squash, va matto per la pesca. E' capace di andare fino in Ungheria o Spagna per passare un weekend da solo, in riva a un ruscello, lontano dal mondo. Detto per inciso, capisce anche di politica. Oltre il regolamentare doppiopetto blu batte insomma il cuore del «figlio del notaio Galan». Un rampollo di quella borghesia patavina, un po' agraria e un po' cattedratica, che ha accolto secoli fa la sua famiglia originaria della Galizia. «Galan è un cognome spagnolo - confessa ma non lo dica in giro. Secondo i sondaggi molti elettori incerti potrebbero preferirmi a Bentsik (il democristiano candidato dalla sinistra) perché il mio nome suona più "veneto". Guardi come s'è ridotta la politica». E ride. Per la verità in Veneto il futuro presidente ha vissuto pochino. A vent'anni, presa la laurea in legge è già a Roma, intruppato nella gioventù liberale («quattro gatti»). Nella capitale rischia di essere assunto all'Efim e finisce capo della segreteria di Alfredo Biondi, quello del decreto. Poi abbraccia il mondo del lavoro. A Milano, durante una convention, il Dottore lo chiama a sé. Sono gli albori dei formidabili Ottanta. Galan si tuffa nella mischia - lavora 12 ore al giorno, gestisce contratti miliardari con le multinazionali (soprattutto l'Unilever) - e ne esce a quarantanni ricco, sinergico e devastato. E' la vigilia della «discesa in campo». Nascono i club e il partito-azienda. Per Galan, come per altri quarantenni d'assalto Fininvest, è la salvezza. L'unico modo per sal¬ tar fuori dalla trincea del lavoro. L'espediente con cui vi riesce ha del geniale. Berlusconi lo manda in missione in Veneto nell'inverno '93, per organizzare i club di Forza Italia e scegliere i candidati per le politiche. Galan è bravissimo, raccoglie montagne di voti con i metodi della vendita pubblicitaria, e intanto riserva per sé un collegio sicuro col proporziale. Ma Roma non lo incanta, «in Parlamento non si fa politica, si fanno pettegolezzi». Il «figlio del notaio» sogna il ritorno a casa, la gloria del Caffè Pedrocchi. E quando Berlusconi lo risbatte in Veneto per cercare il candidato alla presidenza della Regione, decide che è la volta buona. Impallina tutti i papabili del Polo con relazioni al vetriolo. A cominciare proprio dal professor Bentsik, il suo rivale di oggi: «un vecchio arnese della partitocrazia, democristiano a vita, del tutto incapace di stare in televisione». Completa il capolavoro con un suggerimento disinteressato: «Silvio, ma perché non candidi me?». Ed eccolo a un passo dal trionfo, viceré di Berlusconi nel Veneto. Ce la farà, non ce la farà? Galan parte favorito, e non teme l'effetto Saonara. «Io non sono Giovanni Negri e poi i nostri elettori hanno capito che non devono andare al mare, sennò vincono le sinistre». I comunisti, vorrà dire. «Ma chi? Quel pretone doroteo di Bentsik? Non avrò mai il coraggio di chiamarlo comunista». Ride e manda giù un'altra pastarella. «Purtroppo questa è una campagna poco televisiva, per via della par condicio. Il mio avversario ha una faccia e una parlata da vecchio professore, è decisamente antipatico. Eppoi basta ricordagli il suo passato democristiano per fargli perdere le staffe. Nell'unico faccia a faccia tra noi è andato fuori di testa. Urlava minacciando querele, con una vocina chiocchia, un'arietta così spocchiosa...». Beve e divora una pizzetta. «Mi manca anche la Bindi. Speravo venisse a sostenere il suo candidato, ma non si è fatta viva. La Bindi è una grande speranza della destra. In pochi anni ha spappolato un patrimonio quarantennale. Il Veneto era la capitale mondiale della de, del voto cattolico. Ma cattolico davvero, cioè lontanissimo dall'integralismo dei bindioti. Il risultato è che oggi i buoni borghesi veneti hanno più paura di Rosy Bindi che del comunismo. Nel caos, potrebbe farcela perfino un laico come me». E poi, una volta eletto? «Mica c'è così tanto da fare. La sanità è due terzi del bilancio e in Veneto ci sono i migliori ospedali d'Italia. Le strade sì, sono un disastro. E poi l'ambiente. In trent'anni i veneti hanno pensato soltanto a far schei, soldi. Per il resto, il buon amministratore è quello che fa meno danno. Guardi Cacciari a .Venezia. Uno che stimo, il vero leader della sinistra. Ma come sindaco ha voluto strafare e ha combinato soltanto casini». Massi, è un autentico liberale questo Galan. Come confermerà anche la sera il vero candidato, Silvio Berlusconi, nella trionfale convention del Ramada. Parla per ore, il Cavaliere, ripetendo il solito spot. E il viceré gli siede alla destra, devoto, quasi muto. Soltanto, a tratti, gli affiora uno strano sorriso. Curzio Maltese