Nella fortezza degli yankee arriva la sindrome di Beirut di Vittorio Zucconi

Nella fortezza degli yankee arriva la sindrome di Beirut Nella fortezza degli yankee arriva la sindrome di Beirut I sembrava di essere tornato in Arabia, quando un missile Scud colpì le baracche dei nostri soldati a Riad e portammo via i corpi dalle rovine», ha detto con la fronte ancora insanguinata dalle schegge un sergente della polizia di Oklahoma City, Jack Lovett, che portava l'uniforme dell'esercito nel '91 nel Golfo e pattugliava il centro della città ieri mattina alle 9, quando i cinque quintali di esplosivo sono saltati. E nella frase innocente, quasi banale sfuggita a questo ex soldato, c'è la verità immensa e tremenda che fa tremare l'America e il mondo. C'è la globalità del male in un mondo che ha scelto, giustamente, la libertà delle idee e delle persone. Dunque anche la libertà dei pazzi e delle loro sciagurate gesta. Ma quella nube di fumo nero che si alzava visibile per chilometri e chilometri nel cielo così grande e così pallido della Prateria, tanto simile alle colonne che si alzavano da Baghdad, da Kuwait City, da Grozny, da Sarajevo, annerisce il cuore degli americani forse più del nostro, costretti a convivere in questo secolo con guerre in casa e terrore. Quando il furgone-bomba dei terroristi islamici esplose nella cantine dei grattacieli gemelli di New York, il World Trade Center, uccidendo sei persone, lo choc fu enorme, ma in qualche modo attutito da New York. Nella «Sodoma e Gomorra» d'America, nella città che spesso conosce più morti in un week end di sparatorie e rapine, la violenza è una compagna di viaggio quotidiana. Forse addirittura «meritata», pensa l'America delle Praterie timorate di Dio. Ma nell'Oklahoma perbenista e ruspante, l'unghiata del terrorismo sembrava un sacrilegio osceno. Proprio questo, probabilmente, voleva fare l'attentato di ieri. Portare uno sfregio nel cuore dell'America. E se questo voleva essere l'obiettivo, esso è stato centrato. Mai l'orrore aveva raggiunto questa misura, negli Stati Uniti e in una città meno «colpevole». Quando le telecamere hanno cominciato a fare il loro lavoro via satellite, alle 10,30 del mattino ora della costa atlantica, le 14 e 30 italiane, la gente era al lavoro, gli oziosi e i malati in attesa della nuova puntata della telenovela che da mesi attanaglia la gente, il processo di O.J. Simpson. Ma quando la voce si è sparsa, l'America ha reagito come sempre in questi casi, raccogliendosi attorno al «focolare» elettronico della nazione, al televisore più vicino sintonizzato sulla Cnn e poi su tutte le reti locali come nazionali. Oklahoma? Ma come è potuto accadere in Oklahoma, si sentiva domandare in giro, come se l'Oklahoma fosse su un altro pianeta, immune nella sua mediocrità, e come se un irlandese colpito dall'Ira, un bosniaco ucciso dai cecchini serbi, un newyorkese pugnalato da un borseggiatore fossero vittime designate e «normali» del male. Ma non l'Oklahoma. Roma sì, Belfast sì, l'Oklahoma, con questo nome da commedia musicale, no. E mentre guardavamo, in diretta, i bambini maciullati portati via dalle rovine, le donne con le gambe coperte di sangue sotto le gonne, i pompieri barcollanti sotto la fatica e l'angoscia, una parola aleggiava sulle bocca di tutti, inespressa e universale, impronunciale eppure inevitabile: «fondamentalismo». Troppo forte era l'orrore davanti al cratere aperto dalla bomba sul marciapedi, un cratere dove ancora 10 ore dopo l'esplosione c'erano sepolti vivi, e certo sepolti morti, perché nessuno, dal Presidente Clinton al postino fermo nel bar con la bisaccia della posta appesa alla spalle, osasse dire quello che tutti pensavano: che questa strage fosse figlia di Beirut e di Baghdad, del World Trade e di Gaza. Nel palazzo di gione, naturalmente barbuti. L'icona perfetta del «terrorista islamico». L'epifania sanguinosa di Abudl, Ahmod, Mustàfa, del nuovo, grande «nemico» che ha rimpiazzato nella immaginazione collettiva americana Ivan con il colbacco dell'Armata Rossa. Un esperto, Jack Kingston, che da anni studia per l'Fbi il terrorismo da esplosivi, spiegava calmo alla Cnn, che l'attentato con dinamite è un'occorrenza purtroppo comune in America, che soltanto nel 1995 sono avvenute 910 esplosioni criminali negli Stati Uniti, e 26 innocenti sono rimasti uccisi, dunque la «pista islamica» e tutt'alt.ro che sicura. Ma come il conto delle vittime e dei feriti cresceva, così con l'avanzare delle ore cresceva l'incubo dell'Islam, lo spettro del fondamentalismo, ormai divenuto tanto spudorato da sfregiare anche il cuore dell'America. Proprio ad Oklahoma City, spiegava una fonte anonima dell'Fbi, i servizi americani avevano individuato cellule di organizzazioni fondamentaliste formate negli ultimi mesi per vendicare i «fratelli» sotto processo a New York proprio in questi giorni, mentre dal Medio Oriente erano venute segnalazioni che avevano fatto aumentare - senza successo le misure di sicurezza nelle ambasciate e negli uffici pubblici. Inutile fingere. Non c'è un americano, questa mattina, che non sia convinto che la spada dell'Islam abbia ferito il ventre dell'America. Non c'è politico che non sia tentato di saltare sulla tigre del dolore, del sentimento di vulnerabilità che improvvisamente attanagliano tutta l'America, e lanciarsi contro quelle «maledette teste di stiacci», come si dice nello slang razzista, contro gli arabi, gli hezbollah, gli ayatollah e tutto l'assortimento dei disperati della jihad. La prova difficile, per l'America, per noi tutti, comincia dunque oggi, mentre ancora continua la ricerca di cadaveri grandi e piccini tra le rovine, mentre centinaia e centinaia di medici accorrono negli ospedali di Oklahoma City in uno sbocco di solidarietà da Frontiera per curare gratuitamente i feriti, talmente numerosi che le autorità hanno lanciato un appello per tener lontani i volontari in camice bianco. Sarà la prova dei nervi saldi contro l'isteria, della serenità civile contro la tentazione dell'angoscia. L'Oklahoma è la fibbia della «Bible Belt», della terra della Bibbia, in America. Ma a quale Dio si rivolgeranno, questa notte, i genitori di quei bambini maciullati? Al Dio del Taglione o al Dio che avvertì severo: soltanto mia, e non degli uomini, è la vendetta? Vittorio Zucconi

Persone citate: Clinton, Jack Kingston, Jack Lovett, Simpson