Cambogia, il lungo delitto di Mario Ciriello
Cambogia, il lungo delitto Sono passati vent'anni dalla «liberazione» di Phnom Penh, ma la pace resta una speranza Cambogia, il lungo delitto I khmer rossi continuano a uccidere LE GUERRE DIMENTICATE GRANDE fu la gioia, ma effimera. I primi soldati comparvero, la mattina del 17 aprile 1975, sul boulevard Monivong e rispondevano con un sorriso ai saluti dei cittadini, accettavano l'abbraccio dei bambini, parevano voler fugare per sempre i fantasmi della lunga guerra fratricida. Ma era un'illusione, un crudelissimo inganno. Due ore dopo, giunsero a Phnom Penh i khmer rossi veri e propri. Erano tutti vestiti di nero, sfoggiavano tutti Kalashnikov e bandoliere, erano tutti giovanissimi. Erano esausti, sfiniti, ma occuparono rapidamente le piazze e le vie più importanti. Gelidi, minacciosi, scrutavano la gente con ostilità. E così, quasi subito, trepidazione, paura calarono sulla capitale «liberata». Proprio in questi giorni, in cui Europa, America e molte altre terre del pianeta si apprestano a celebrare la fine della seconda guerra mondiale, i cambogiani non riescono a festeggiare la sconfitta vent'anni fa del corrotto regime filoamericano del generale Lon Noi. Non riescono perché la «pace» che seguì alla guerra è un ricordo da museo degli orrori, ha lasciato nella psiche nazionale ferite strazianti come quelle inflitte al popolo ebraico dall'olocausto. Pochi giorni dopo la caduta di Phnom Penh, Poi Pot, il leader dei khmer rossi, i comunisti cambogiani, annunciò: «Comincia ora l'Anno Zero. Il passato non esiste più». Anche i tedeschi chiamarono il 1945 l'Anno Zero, Jahr Nuli, ma fu l'inizio della ricostruzione, segnò la nascita di una nuova Germania democratica. L'Anno Zero cambogiano fu invece il prologo di una tragedia. Una tragedia in cui la piccola popolazione cambogiana, che era allora tra i sei-sette milioni, fu decimata, falcidiata, mutilata. Oltre un milione di cambogiani perì nei tre anni di questa «rivoluzione», un totale che altre autorevoli fonti innalzano a due milioni e mezzo. Chi non fu ucciso dalla violenza, morì infatti di fame o di malattia. Nel dicembre '78, la Cambogia è invasa dai vietnamiti, che il 7 gennaio '79 entrano a Phnom Penh. Non fu purtroppo la fine del grande incubo. La lotta tra il nuovo regime e le forze dei khmer rossi continuò per vari anni, devastando diverse regioni, sottoponendo i civili a nuovi terrori, massacri, privazioni. La morte aveva azzannato la Cam¬ bogia. Col passar del tempo, il mondo trascurò gli eventi del piccolo Stato asiatico. Oggi, quel ventesimo anniversario desta l'attenzione verso la Cambogia: e si apprende che la pace non è ancora discesa tra le sue città e campagne. Certo, la situazione è migliorata, grazie soprattutto alla tenace azione delle Nazioni Unite, ma molti sono gli interrogativi. C'è un governo, una fragile coalizione di monarchici e di ex comunisti filovietnamiti, ma i khmer rossi non sono spariti, i suoi dieciquindicimila guerriglieri controllano tuttora il 10-15 per cento del territorio nazionale, lanciano sanguinosi attacchi, impediscono il decollo dell'economia. Ecco perché quel ventesimo anniversario è passato quasi inosservato a Phnom Penh: troppe sono le incertezze, le ansie. Non basta: cinque cambogiani su dieci sono troppo giovani per ricordare gli orrori di Poi Pot: e gli altri cinque sono dei sopravvissuti, che preferiscono dimenticare. Otto membri del presente governo combatterono vent'anni fa con Poi Pot: fra essi, il vicepremier Hun Sen, i ministri degli Interni, della Giustizia, delle Finanze nonché il presidente dell'Assemblea Nazio¬ nale. Poi Pot stesso è ancora vivo. Ha 66 anni, vive in un rifugio lungo la frontiera con la Thailandia. Ma torniamo alla mattina del 17 aprile 1975.1 khmer rossi mostrano subito il loro vero volto. Verso mezzogiorno, un reparto entra in un grande ospedale e ordina a tutti i pazienti di abbandonare l'edificio. Chi poteva camminare doveva reggere chi non poteva. Nelle ore successive, altre pattuglie svuotano gli altri ospedali. E così, nel pomeriggio, gli abitanti assistono, allibiti, alla prima «purificazione» della città. Un testimone oculare rammenta: «Il caldo era feroce. Uomini senza gambe saltellavano per le strade, facendo leva sulle braccia; bambini ciechi avanzavano, aggrappati alle spalle di ex militari mutilati; e vi erano genitori con i loro bimbi feriti, in sacche di plastica ,che gocciolavano sangue. Altri infermi spingevano i letti con i pazienti più gravi». L'allucinante processione aveva un'unica meta, la campagna. Sì, la campagna. Poi Pot voleva una. «rivoluzione agraria». Bisogna eliminare la borghesia urbana o costringerla a lavorare per i contadini, il «popolo della terra» in cui Poi Pot vedeva lo strumento per la creazione di un nuovo «Impero khmer», come quello che fiorì tra il X e il XIV secolo. Prima di uccidere le vittime con un colpo di zappa alla nuca, i khmer rossi ripetevano sovente questa, frase di rito: «Finalmente, ti renderai utile alla rivoluzione. Non più come uomo, ma come fertilizzante». Già il 18 aprile, ventiquattr'ore soltanto dopo il loro arrivo, i teenager in uniforme nera così avvertivano, truci, i cittadini di Phnom Penh: «Non ci servite più, né vivi né morti». Nella loro paranoia, i khmer rossi vedevano un «borghese» in chiunque parlasse una lingua straniera, portasse occhiali o usasse uno spazzolino da denti: e lo uccidevano. Dove avevano attinto questa folle ideologia? Esponenti khmer rossi si giustificano, ancora oggi, dicendo che Poi Pot e i suoi principali collaboratori avevano studiato in Francia, avevano letto Rousseau: e si erano ispirati a Mao Tsetung. Ma mille erano i «crimini» punibili con la morte: non occorreva essere «borghesi». Bastava far l'amore senza essere sposati. Oggi McNamara confessa, piangendo, di aver «sbagliato» in Vietnam. Chissà se Henry Kissinger lo imiterà e confesserà di essere fra i responsabili che trasformarono la Cambogia da un'isola di pace serena e prosperosa in un inferno dantesco. Nel suo volume «Sideshow», un classico, lo storico William Shawcross conclude: «La Cambogia non fu un errore. Fu un delitto». Mario Ciriello Poi Pot è nascosto nella giungla e dirige una nuova campagna di morte
Persone citate: Henry Kissinger, Hun Sen, Lon Noi, Mao, Nazio, Rousseau, William Shawcross
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