Liala addio senza vip di Stefania Miretti

Varese, la figlia: «Nessuno scrittore o editore ha mandato un telegramma» Varese, la figlia: «Nessuno scrittore o editore ha mandato un telegramma» Liala, addio senza vip Ai funerali solo amia ed ex piloti VARESE DAL NOSTRO INVIATO La marchesa Amalia Liana Negrotti Cambiasi Odescalchi, in arte Liala, aveva deciso per tempo cos'avrebbe indossato per il suo funerale. Era il 1971, l'avevano invitata ad un ballo con gli ufficiali della vicina base aerea. Forse capì, tornando a casa dopo aver danzato tutta la notte, che non le sarebbe più capitato di sentirsi così bella e corteggiata. Forse intuì quella sera che un'epoca, la sua, se n'era andata. Aveva 74 anni, e un abito di Valentino: casacca in lamé dorato, gonna lunga color avorio, scarpine d'oro. Ripose tutto in un armadio e scrisse un biglietto alle figlie: con quell'abito, che da viva non avrebbe più indossato, l'avrebbero seppellita. Quando Liala scelse il vestito, la chiesa della Madonna della Gioia non era ancora stata costruita: un architetto post-moderno l'ha progettata, all'inizio degli Anni Ottanta, a forma di silos, con tante porte in ferro come quelle dei garage e una croce così «essenziale» che da lontano la scambi per l'antenna della televisione. Ma forse alla marchesa sarebbe piaciuta: come le piaceva vivere lì, sulla collina di Varese, tra basse villette circondate da ordinati prati inglesi - la sua si chiama «Cucciola» -, «tra famiglie di industriali e professionisti», diceva, «con figli educati che studiano nei collegi». E ieri, al suo funerale nella chiesa-silos, c'erano soprattutto loro, gli abitanti delle ville vicine. E poi qualche lettrice, un gruppo di ex aviatori in divisa, in rappresentanza dell'Associazione Arma Aeronautica, il prefetto e il sindaco coi gonfaloni. L'autrice di «Signorsì», il romanzo che in Italia ha venduto il maggior numero di copie dopo «Cuore» e «Pinocchio», se n'è andata così come era vissuta: «Nell'indifferenza degli intellettuali», stigmatizza la figlia Primavera, «senza aver mai ricevuto un premio, senza che a nessuno sia mai venuto in mente, con tutte le telenovelas che compriamo dal Sud America, che i libri di mamma, così pieni di colpi di scena, avrebbero potuto avere una riduzione cinematografica o televisiva. Se penso che alla Tamaro, dopo un solo libro, han subito comprato i diritti...». In questi giorni alla «Cucciola» arrivano centinaia di telefonate, racconta la signora Primavera: «Sollevo la cornetta e sento una voce che dice "Sono Maria", e poi solo singhiozzi...». Nessuno scrittore, editore, libraio, ha mandato un telegramma. «Mamma c'era abituata, ma ne soffriva. Dieci anni fa, quando uscì il suo ultimo romanzo "Frantumi d'arcobaleno", le avevano lasciato intendere che avrebbe ricevuto il Bancarella. Poi quel premio lo diedero a Umberto Eco: e lei ci rimase molto male». E così a ricordare la figura letteraria di questa donna che ha sfornato la bellezza di ottanta romanzi, tutti venduti come il pane (in effetti, anche nei supermercati) ci pensa padre Sandrinelli, che nell'omelia accenna alle «capacità intellettive», al «linguaggio pulito e sano», a «questa nostra sorella che, anche negli anni dei mass media, ha creduto nell'efficacia della parola scritta». «E il Signore», dice il sacerdote, «saprà cogliere tutti gli aspetti buoni e positivi». La tomba è grande, in granito chiaro, con ampie vetrate fumé e il nom de piume inciso sulla pietra. I fiori sono pochi: sulla cassa in mogano rosa un copribara di rose gialle meravigliosamente spampanate, con i nomi delle due figlie, Primavera e Serenella; accanto, un mazzo di calle, ed è tutto. Sfilano per le condoglianze le donne che hanno servito a villa Cucciola, qualche ragazza che si chiama Liala, un anziano ammiratore venuto dalla Sicilia. «Viva il re», dice Primavera, che è monarchica come la madre. A novantotto anni appena compiuti, una settimana dopo la morte della quasi coetanea Paola Borboni, Liala si congeda così. Sul suo tavolo da lavoro rimangono tre romanzi incompiuti (lei ne cominciava sempre tre o quattro insieme): «Sono bellissimi», dice la signora Primavera, «il primo racconta la storia dell'incontro postumo tra mia madre e il suo grande amore, il pilota d'idrovolanti che precipitò durante un'esercitazione; il secondo è la storia dell'incontro tra una ragazza di qui e un aviatore, solo che lui è nero, congolese, e la famiglia di lei si oppone: mamma lo scrisse perché vedeva tanto razzismo anche qui dove abitiamo, ma quel romanzo sarebbe finito male: lei, incinta, sarebbe morta, e anche lui...; il terzo era la storia umoristica d'un direttore orchestra che incontra tre gemelle e poi...». E poi, signora, perché non li ultima lei, quei tre romanzi di cui conosce perfettamente la trama? «Io sono sempre vissuta accanto alla mamma, a parte una parentesi matrimoniale durata 31 mesi. So tutto di lei, di come lavorava... sono stata una buona segretaria, ma non ho fantasia. No, i romanzi di Liala finiscono qui». Stefania Miretti Sepolta con l'abito di Valentino che aveva scelto 25 anni fa Lascia tre romanzi a metà I familiari «Nessuno li finirà» mm i» A sin. Liala alla macchina per scrivere e a destra con le figlie

Persone citate: Amalia Liana Negrotti, Odescalchi, Paola Borboni, Primavera, Tamaro, Umberto Eco

Luoghi citati: Italia, Sicilia, Sud America, Varese