Il lutto felice d'un padre

Il lutto felice cTun padre UNO CHOC IN TV Il lutto felice cTun padre «Mio figlio killer, morto da eroe» PTEL AVIV IU' grande del possesso della terra, più definitiva del senso di identità, è in un popolo l'idea della morte. Il sepolcro definisce la continuità, l'aldilà si proietta nel futuro, il lutto consente il prosieguo dell'esperienza umana. Così, fra ebrei e palestinesi, oggi il vero simbolo dell'incomprensione è proprio l'assoluta incolmabile distanza nel modo di sentire e di celebrare la morte dei propri cari. Gli israeliani a ogni lutto danno una rappresentazione disperata: ogni individuo, ogni soldato, specie quando si tratta di ragazzi, lascia una scia di pubbli- che lacrime. La madri diventano immagini di inesprimibile disperazione; i padri maschere di pietra; gli amici, le fidanzate singhiozzano abbracciati anche se indossano la divisa. Sempre ricordano la simpatia, l'umanità, la pacificità del morto. Il messaggio è: non meritava di morire così giovane, la sua vitalità era espressione di tutto ciò che è bello, la vita avrebbe dovuto vincere su tutto. Ieri invece Israele, sconvolta, ha discusso tutto il giorno la reazione di Said Falah, padre di Adel Hassan Falah, uno dei tre membri di Izzadim Kassam, il braccio armato di Hamas, uccisi dalla poli- zia di confine israeliana vicino a Hebron alle 9 di mattina in un agguato mentre, apparentemente, andavano a commettere un attentato armati di Kalashnikov e mitragliatrici. Said, elegante nella sua camicia bianca, con i baffi candidi ben sistemati, un volto assai dignitoso, ha dichiarato alla televisione israeliana: «Sono contento. Ringrazio Iddio». Di che cosa ringrazia Dio un padre che ha appena perso un figlio di 22 anni? Di che cosa può essere contento? «Del fatto che mio figlio fosse un vero uomo, non un vigliacco. Del fatto che ha agito come ogni padre desidera che suo figlio agisca. Da oggi in poi, ogni giorno, chiederò ai quattro figli che mi rimangono perché non hanno ancora fatto come il loro eroico fratello». Said parla un ottimo ebraico, e ha precisato che lo sa anche leggere e scrivere. Conosce bene gli israeliani, dice al giornalista che il suo odio è ben motivato. E' un uomo colto, che è stato un leader marxista. Non gli sembra almeno strano se non tragico, che suo figlio sia morto nel nome di Allah? Che cosa vuol dire questo? «Glielo chiederete voi stessi quando sarete con lui in paradiso», ha detto il padre ai giornalisti. Poi è tornato alla sua casa in festa per ricevere gli amici dopo aver benedetto suo figlio e tutti quelli che seguiranno la sua strada. Ha invitato gli astanti a mangiare con lui i dolci che erano stati preparati «come per un matrimonio» insieme con «il caffè zuccherato e non amaro» come si userebbe invece per il lutto. Gli israeliani, un po' pateticamente, hanno mobilitato i loro esperti, psicologi e sociologi esperti del mondo arabo, per capire se veramente questo padre era contento, o se la sua rappresentazione di forza era unicamente dedicata all'immagine, al mondo. Ma com'è logico, le risposte sono controverse. Certo non c'è padre che possa essere contento, come ha detto Falah, di vedere il proprio figlio morto. Ma è difficile delimitare la zona del comportamento, dell'eccitazione, e quella del sentimento. E nella cronaca di questi giorni c'è un altro episodio conturbante: l'incontro, un anno dopo, fra un bambino palestinese, Abdel Kamal Abu Rabo, e un soldato israeliano, Amir Faras. Il 6 marzo del '94 il soldato fu fotografato, mentre coperto da una gragnuola di pietre tirate dal ragazzino, rifiutava di rispondere al fuoco benché avesse il fucile puntato. Il pericolo di vita era palese. La foto, lui con le ginocchia piegate c il mitra imbracciato, e il ragazzino a un metro di distanza che lo assale, fece il giro del mondo. Adesso, in un dialogo promosso dal quotidiano Yediot Aharonot in tempo, per così dire, di pace, il ragazzo ripete al soldato che è stato un vigliacco, un pauroso, che non ha avuto il coraggio di ucciderlo. Il soldato sorride e non capisce perché il ragazzo, cos\ carino in quella sua camicia colorata americana da scugnizzo napoletano, voleva morire; il ragazzo, invece, non capisce, proprio non capisce perché il soldato non l'abbia ucciso. Fiamma Nirenstein Adel Hassan Falah è stato ucciso mentre preparava un attentato

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