All'Eliseo a tempo di swing di Enrico Benedetto

8 FRANCIA Chirac strizza l'occhio ai giovani scegliendo i Blues Brothers All'Eliseo, a tempo di swing Sigle jazz nei comizi di tutti i candidati PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Verso l'Eliseo a ritmo di jazz. Divisi sul programma, i tre principali candidati - Jacques Chirac, Edouard Balladur, Lionel Jospin - hanno perlomeno in comune l'amore per lo swing. O almeno così parrebbe confrontando le loro «musiche di scena» nei meeting. Chirac propone i Blues Brothers, Balladur Vangelis (autore da rock sinfonico ma nel quale l'influenza jazz è ben visibile), Jospin Jean-Jacques Goldman. Aggiungiamoci un Miles Davis doc per il comunista Robert Hue e la colonna sonora in puro stile New Orleans (pardon, Nouvelle Orléans) utilizzata da Philippe de Villiers e misureremo nella sua ampiezza la jazzmania presidenziale. Jean-Marie Le Pen è tra i pochi a non conformarvisi. Del resto, il genere melodico negro per eccellenza stonerebbe con i proclami xenofobi. Ma impiega comunque un compositore straniero (Verdi), e il celeberrimo coro del Nabucco che propone ai suoi fans - scrive con malizia «Le Monde» - lo cantano gli Ebrei, altra sua bestia nera. Nella hit-parade brilla comunque per assenza la Marsigliese. Troppo démodé per l'elettorato giovanile. E l'Internazionale si salva a malapena. Arlette Laguiller, candidata del gruppo ultragauchiste «Lutte ouvrière», la intona dopo ogni comizio. E il pubblico le va dietro. A cinque giorni dal primo turno - e con le rilevazioni demoscopiche ormai fuorilegge - i politologi devono sbizzarrirsi per trovare nuovi spunti. Ben vengano le sigle musicali. Che cosa c'è dietro? Nella campagna - ricca, sofisticata, lunghissima, con gli staff dei presidenziabili trasformati in vera e propria «macchina da guerra» distruggi-awersari - neppure un fa diesis potrebbe essere casuale. Selezionare l'«inno» richiede grande attenzione, e competenza politica, non solo musicale. Ne sa qualcosa il povero Edouard Balladur. Il pomposo, spesso trionfalistico Vangelis fu scelto nei mesi in cui il premier sembrava avere l'Eliseo in tasca. La melodia era lì per intronizzarlo, celebrando il matrimonio tra la nazione e il suo futuro leader con una bella Marcia Nuziale. Peccato che, nel frattempo, Balladur sia ruzzolato giù. Così, da qualche tempo, il Mendelssohn Anni 90 Vangelis non risuona più ai raduni del primo ministro. Lo sostituisce, talora, Beethoven. Che ha la grinta del «Challenger». I Blues Brothers chiracchiani servono, al contrario, per «fare giovane». Ma non troppo: anche i quaranta-cinquantenni li ricordano con nostalgia. Unico neo l'inglese. Tuonargli contro, predicare il protezionismo linguistico e poi adottarlo per vincere le elezioni appare contraddittorio. Non sarà che l'ennesima discrepanza interna di uno Jacques Chirac obbligato spesso a conciliare l'inconciliabile per «ressambler» i francesi, mobilitandoli oltre le barriere ideologiche e generazionali. Miles Davis in casa Hue vuole far dimenticare i cori dell'Armata Rossa che ancora sotto Georges Marchais furoreggiavano. Con il suo jazz-man francofono, infine, il ps Jospin allea prudenza e giovanilismo. Ma lo slancio è un'altra cosa. Altre musiche celebrano tuttavia a modo loro i presidenti virtuali. Corrosive, ironiche, libertarie. Come il «Raggadur» della bard «Las patatas Espantadas», un reggae sul primo ministro. «Dur, dur, la vie c'est dur avec Balladur» dice il refrain. Se ne attende la versione karaoke per i 39 milioni di votanti. Enrico Benedetto Le Pen unica eccezione parla sulle arie di Verdi Nell'hit parade presidenziale i Blues Brothers (sopra) Vangelis (sotto) e Miles Davis (destra)

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