Formigoni, il divo casto e frenetico di Curzio Maltese

Formigoni, il divo casto e frenetico Formigoni, il divo casto e frenetico MMILANO A chi l'avrebbe detto che in fondo a vent'anni di rivoluzioni lombarde - l'ondata rossa del '75, il craxismo, le Leghe, Tangentopoli, Berlusconi - sarebbe spuntata la barbetta di Roberto Formigoni for president. Il casto divo di CI è quasi sicuro di vincere. Nel quartier generale di via Copernico, un mezzo convento con annessa cappella dalle parti della Stazione Centrale, lo staff del candidato snocciola con ciellina petulanza sondaggi favorevoli, dichiarazioni di voto e, ancor più impressionanti, date e orari della terrificante tournée elettorale. «Arriva a sbrigare fino a ventidue appuntamenti in un giorno», confessa con gli occhi lucidi l'addetto stampa Beltotto. E sventola un programma dove compaiono dibattiti radio, tv, giornali, comizi, convention, Colazioni e aperitivi con la «società civile», incontri con le associazioni più bizzarre (dagli «amici del circo» in giù) e un'incredibile serie di appostamenti davanti a mercatini e ipermercati, scuole, oratori, parchi pubblici, i luoghi della «gente», sparsi per una regione grande come il Belgio. Plurale di se medesimo, Formigoni compare all'improvviso, dove meno te lo aspetti. Se la mattina è alla partenza della Stramilano, a mezzogiorno è già dagli industriali di Sondrio e alle due si materializza a Lugano negli studi della letale tv della Svizzera Italiana, la prediletta del professor Miglio. A maggior gloria, va detto che guida quasi sempre lui. Assago-Brescia in 38 minuti, Milano-Roma in tre ore e 15. Formigoni è uno che nella vita corre «da casello a casello». Senza contare l'implacabile attività fisica. Corse, corsetto, maratone, footing, jogging, campestri. «Il Signore mi ha dato anche talenti fisici», spiega. E lui li ha messi a frutto. Super tifoso del Milan, presidente di una società di ciclisti (Amore e Vita), ha praticato quasi tutte le discipline omologate dal Ciò, con preferenza per la schenna e il mezzofondo. Una polisportiva ambulante. Il motto: «La politica, come lo sport, è soprattutto movimento». Con più o meno volontario gioco di parole fra movimentismo (Movimento Popolare, CI, Polo) e l'iper attivismo motorio, un po' dissen• nato e comunque molto brianzolo, che ne ha segnato l'ormai ventennale immagine di ragazzo prodigio della politica. Insieme all'altra caratteristica, la castità. Si capisce allora che il grande elettorato moderato accarezzi l'idea di spedire Formigoni all'ultimo piano del Pirellone, a distribuire appalti per la Sanità (T85 per cento del bilancio regionale) e insomma toglierlo dalla circolazione per cinque anni. Un modo simbolico, forse, per esorcizzare anche le proprie ansie, gli astratti furori che da oltre un decennio scuotono il laborioso popolo e lo spingono nelle braccia di diversissimi ma sempre frenetici leader, da De Carolis a Craxi, da Bossi a Berlusconi. E ora Formigoni, l'ultimo cavaliere dell'apocalisse lombarda. Ma una volta presi per stanchezza i voti lombardi, è dubbio che Formigoni si plachi fra le nebbie del Pirellone com'è accaduto a tutti i suoi illustri predecessori (Arrigoni, Ghilardotti, e prima Guzzetti, Bassetti...). C'è qualcosa come una legge fisica che lo trascina ogni volta a intervenire, a esserci, a farsi vedere. In una giornata media, già fitta di dozzine d'impegni, Formigoni è capace di emettere e far pervenire alle agenzie anche dieci comunicati sulle questioni più disparate. Ieri: una denuncia contro Scalfari al Garante, un appello programmatico sulle «priorità principali» (e le priorità secondarie?), la «solidarietà a Di Pietro» e un commento su Milan-Inter. «E purtroppo questa campagna elettorale è stata oscurata dalla par condicio - sospira -, non sono mai mancato tanto dalla tv come in questo mese». Non stupisce dunque che Formigoni abbia «riconosciuto» per primo fra i politici l'astro di Silvio Berlusconi. Il primo incontro risale al 1974, quando Formigoni era poco più che un boy scout ambizioso e Berlusconi un trentenne misteriosamente ricco con l'aereo personale, cantieri da mezzo miliardo al giorno, capelli lunghi, basettone e pantaloni a zampa d'elefante. «Mi piacque sùbito. E io a luj- rievoca il candidato -. E' stato come l'usmarsi (annusarsi, ndr) di due persone con molto in comune, lombardi, pragmatici, non ideologici e, perché no, milanisti. Due persone che si sono fatte da sé. Poi le nostre strade sono continuate parallele, lui nell'imprenditoria, io nelia politica abbiamo cercato di cambiare le regole del gioco. C'incontravamo nella tribuna di San Siro, e ci scambiavano idee. Da anni Berlusconi aveva il pallino della politica. Ritrovarsi è stato semplice e per me, mi lasci dire, anche liberatorio». Da che cosa, onorevole? «Ma dalle pastoie della partitocrazia, naturalmente». Perché il giovane Formigoni, sia chiaro, tra le forfore della vecchia de ha avuto un'infanzia politica infelice. «Ero diverso e mi attaccavano come un corpo estraneo. Sono memorabili i miei epici scontri con De Mita». Il segretario che in un accesso di intellettualismo da Magna Grecia arrivò a definirlo «il politico più stupido della terra». Un insulto bruciante. Ma l'offesa peggiore per un lombardo pragmatico come lui sta nei fatti. «Sono sempre stato il primo fra gli eletti e non mi hanno dato mai uno straccio di ministero. Guardi qua, aprile '92, collegio di Milano: Formigoni 94 mila, Maria Pia Garavaglia 31 mila. A lei la Pubblica Istruzione, a me il sottosegretariato all'Ambiente». Un brutto episodio. Ma da buon cristiano, Formigoni ha ormai perdonato. «La de è un'esperienza chiusa, da consegnare alla storia. Così come il simbolo. Questa rissa per lo scudo crociato è grottesca. Bisogna saper dialogare con gli altri e guardare al presente». Due comandamenti che lui ha sempre religiosamente rispettato. Da capo carismatico di CI ha saputo dialogare con tutti, da Andreotti a Craxi, da Sbardella a Cossiga, da Bossi a Berlusconi, guardando ogni volta il presente. Una sola ombra in tanto ecumenismo, la freddezza della Curia milanese. «Non si può dire che io sia intimo del cardinal Martini», ammette il candidato, con un velo nello sguardo. «Ma le nostre strade non possono che incrociarsi nel comune impegno sociale». Ben detto. Ascoltare Formigoni è decisamente più riposante che seguirne il moto perpetuo. E nel futuro dell'agitata Lombardia che cosa vede, presidente? «La rivoluzione non è finita. Ma la gente comincia a chiedere stabilità. Me lo dicono nei comizi: cambiamento sì, ma non facciamo i matti. Insomma nel futuro della Lombardia vedo un rinnovamento senza avventure. Lo dico?». Prego. «Vedo Formigoni». Curzio Maltese