L'EUROPA CHE MUORE di Enzo Bettiza

Le analisi sul Dna confermano l'identità del dirigente delle Partecipazioni statali L'EUROPA CHE MUORE mere finora né una politica d'intervento né una politica d'armistizio. La guerra jugoslava sta ormai entrando nel suo quarto anno, sta raggiungendo la durata della seconda guerra europea, sta a poco a poco diventando la terza e più lunga guerra europea del secolo. Nel frattempo, nulla di quello che si doveva, e poteva fare, è stato fatto. A parte le sanzioni e gli embarghi, che lasciano il tempo che trovano e che, appena proclamati, si trasformano subito in palliativi e colabrodi, nulla per esempio di serio è stato mai fatto per porre un limite politico e militare concreto al virulento espansionismo bellico promosso dalla Serbia di Milosevic contro il Kosovo, la Croazia e la Bosnia. Nulla di corposo, di risolutivo, è stato mai tentato per liberare con un intervento di forza l'aeroporto e la medesima città di Sarajevo dall'assedio armato e dall'implacabile cecchinaggio di cui sono vittime, oggi, gli stessi francesi, da sempre morbidi e ambigui nei confronti di Milosevic e del suo satellite-rivale Karadzic. Sui campi di concentramento, sugli stupri, sui massacri genocidi, nonostante il cumulo delle agghiaccianti testimonianze internazionali, si è spesso preferito sorvolare e chiudere uno o anche due occhi. Riconosciuto il governo e lo Stato bosniaci, di cui fanno parte varie etnie, si è poi impedito alla nuova repubblica di armarsi e difendersi ad armi pari contro l'aggressione. Si è vanamente continuato a sperare che da una situazione violenta, tracciata col sangue, si potesse non si sa come uscire col cavillo diplomatico, col progetto di una spartizione territoriale, con l'utopia di una convivenza etnica di tipo geometrico, cantonale, elvetico, contrapposta a una guerra appositamente scatenata contro la convivenza in quanto tale. Si è seguitato a parlare a vanvera di autodeterminazione, di diritti delle minoranze, mentre nella ex Jugoslavia i problemi si presentavano paradossalmente rovesciati: non le minoranze serbe, autodeterminatesi con la forza delle armi nelle Krajine croate, andavano protette, bensì le maggioranze albanesi oppresse nel Kosovo e quelle musulmane estirpate dalle loro terre in Bo¬ snia. Luoghi comuni, falsità concettuali, tic diplomatici, mentalità conservatrici, cedimenti e furbizie da cancellerie ottocentesche hanno congiurato insieme per cancellare davanti agli occhi del mondo, in particolare del mondo occidentale, la realtà esatta e nuova dell'ultima tragedia jugoslava. Adesso i francesi, direttamente cecchinati, si domandano con qualche ritardo: «Morire per Sarajevo?». Ogni tanto in Europa ci si domanda se vale la pena di morire per l'Europa. Stranamente, la pressione elettorale, che attanaglia la Francia, sembra spingere per la prima volta quei politici, quei candidati presidenziali e quell'opinione pubblica a una risposta più decisa del solito. Per la prima volta autorevoli responsabili governativi di Parigi indicano ufficialmente in Milosevic il vero responsabile di quanto è accaduto e potrà ancora accadere a Sarajevo. Vedremo. Intanto, tutte le iniziative negoziali partite e promosse da Parigi sono miseramente fallite: il famoso «gruppo di contatto», così caro a Mitterrand, nel quale russi, americani ed europei avrebbero dovuto trovare la chiave per risolvere il dramma bosniaco, è di fatto in stato di decomposizione avan¬ zata. Tanto che gli americani, insofferenti delle astuzie europee, vanno scegliendo da soli la loro strada: il riarmo e la fine dell'embargo per i musulmani. L'estate, con ogni probabilità, ci presenterà un nuovo scenario militare in Bosnia: vedremo gli eserciti musulmani, che già hanno tenuto in scacco per tutto l'inverno i serbi a Bihac, passare alla controffensiva col tacito appoggio di Washington e quello esplicito di Teheran e di Istanbul. Che faranno a quel punto gli europei? In particolare, che faranno i francesi che, nel frattempo, avranno eletto un Presidente forse meno prigioniero di Mitterrand dei miti e dei fantasmi di Versailles? Enzo Bettiza

Persone citate: Karadzic, Milosevic, Mitterrand