Nell'ospedale del sogno americano c'è posto per la lotta di classe di Alessandra Comazzi

F TIVÙ' & TIVÙ' Nell'ospedale del sogno americano c 'è posto per la lotta di classe Cm ERA una volta un ospedale moderno, superattrezzato, con la maggioranza dei medici che pensavano alla salute dei pazienti prima di tutto, che dicevano chiaramente ai malati i loro problemi, che operavano il giorno dopo aver fatto la diagnosi, che spiegavano gli interventi chirurgici, che illustravano addirittura il modo con cui li avrebbero affrontati. C'era una volta un'equipe preparata e affiatata, dove il vecchio barone veniva allontanato perché gli tremavano le mani, anche se era potente, anche se grazie a lui il nome dell'istituto era noto in tutto il paese, e tutti facevano a gara per farsi ricoverare lì e i finanziamenti arrivavano con facilità. C'era una volta un direttore sanitario che sceglieva sempre la strada che riteneva giusta per le persone deboli, sofferenti, malandate: una strada abbinata in ogni caso agli strumenti più sofisticati, all'avanguardia tecnologica. C'era una volta un gruppo di persone che, pur amando, soffrendo, divorziando, perdendo dei figli, sfidavano la morte, e per questo rite¬ nevano di aver fatto il loro dovere. C'era una volta il lieto fine assicurato, anche in camera operatoria. E' ima favola, naturalmente, in onda da ieri sera su Rete 4, titolo «Chicago hope» negli Stati Uniti, «In corsa per la vita» in Italia. Le storie ospedaliere hanno facilmente successo, Raidue sta trasmettendo per la terza volta «Amico mio» con Massimo Dapporto, versione mediterranea dei buoni dottori americani. Anche lui non molla mai, e pur avendo una vita sentimentale difficile, fa prima di tutto il possibile perché i suoi pazienti, che tanto per attirare ancora di più il pubblico sono bambini, superino gli ostacoli del male fisico. In questo nuovo «In corsa per la vita», grande successo negli Usa, nulla è stato lasciato al caso: con la serietà che gli americani adottano quando si tratta di spettacolo, hanno riprodotto esattamente ogni dettaglio, in modo che tutto fosse preciso, ogni patologia descritta esattamente, ogni strumento appropriato. Ma c'è anche della filosofia, dietro i semplici telefilm. Dice Kelley, il produttore: «La scelta di "fotografare" l'attività di un ospedale superattrezzato, modernissimo e confortevole può risultare stridente in un momento in cui la quasi intera popolazione degli Stati Uniti chiede riforme sanitarie in grado di agevolare i più bisognosi: credo che siamo riusciti a dimostrare come anche in certi enti così perfetti ed economicamente irraggiungibili per i più, i miracoli non si fanno mai». Diavoli di americani: capito il messaggio? Questi ospedali da favola esistono, voi non ve li potete permettere, ma state tranquilli che i problemi non mancano neppure lì. Anche i ricchi piangono, e comunque il miracolo non se lo possono pagare. Certo possono avvicinarsi: l'unica è diventare ricchi anche voi. Rispetto ai vecchi telefilm di tema ospeualiero (ricordate il «Dottor Kildare?»), qui i problemi dei protagonisti passano in secondo piano a favore della vita di ospedale. Una vita che comunque dà speranza. Anche la speranza passa per la tv. Alessandra Comazzi — I zzi a

Persone citate: Kelley, Massimo Dapporto

Luoghi citati: Italia, Stati Uniti, Usa