Hannah Arendt contro la tradizione Alle radici della politica

Hannah Arendt contro la tradizione Hannah Arendt contro la tradizione Alle radici della politica pT\ APE VA bene Hannah L' Arendt di andare decisa% mente controcorrente nel il suo modo di concepire la politica. La sua opposizione fu duplice: contro i modi in cui la tradizione occidentale da Platone a Weber l'aveva concepita e ne aveva teorizzato le funzioni, e contro ciò che era diventata la prassi politica. Come ci ricorda Laura Boella, in un saggio recentissimo uscito presso Feltrinelli, Hannah Arendt. Agire politicamente. Pensare politicamente, in un'intervista del 1955 la studiosa ebrea tedesca aveva semplicemente ed energicamente affermato: «Ciò che è andato storto è la politica». E quindi occorreva cercare di dare il proprio contributo a raddrizzarla. Questo impegno della Arendt si è intrecciato indissolubilmente con i tanti e importanti saggi che ci ha lasciato - sul fenomeno totalitario, sulle rivoluzioni, sul problema ebraico, sulla violenza, sulla disobbedienza civile e altri temi cruciali - in un iter che ha fatto di lei una delle coscienze civili più sensibili e intrepide del nostro tempo. Infine, prese a misurarsi con la questione della politica alla radice, per darci un saggio organico sulla sua natura. Non è riuscita a portarlo a termine. Ma ne sono rimaste parti, pubblicate nel 1993 in Germania e ora tradotte presso le Edizioni di Comunità, con prefazione di Kurt Sontheimer, a cura di Ursula Ludz, sotto il titolo emblematico Che cos'è lapolitica? Nonostante l'incompiutezza, questi frammenti ci consentono di cogliere la radicalità, che fa pensare a Rousseau, con cui la Arendt presenta la sua concezione. La politica - ragiona - dalla dominante tradizione occidentale è sistematicamente concepita come diretta a stabilire la dominazione dei governanti sui governati sulla base di rapporti di diseguaglianza. Il suo fallimento pratico è stato tale nel nostro secolo da portare a una democrazia di massa logorata, al totalitarismo e alla comparsa delle armi dello sterminio globale. Tutto ciò ha trasformato la politica in «insensatezza». Simona Forti, in uno studio del '94, lo ha bene messo in luce: per cogliere il significato dell'analisi della società di m^ssa svolta dalla Arendt bisogna capire il peso determinante che in lei ha avuto Possessione» del fenomeno totalitario in conseguenza della riduzione da questo operata della pluralità degli individui in «esemplari seriali», numeri di «un'umanità in se stessa identica». Mossa dalla preoccupazione di fondare la polìtica sull'esigenza dell'ordine interno, della regolamentazione degli interessi sociali, della difesa-offesa di uno Stato nei confronti degli altri Stati, la dominante tradizione occidentale, secondo la Arendt, non ha dato luogo se non a diverse e anche antitetiche concezioni dell'esercizio del potere: ma tutte convergenti nell'assegnare il primato a quei compiti. Le forme di governo e di potere che ne sono derivate, riducendo, svuotando, all'estremo annullando la partecipazione attiva dei soggetti, hanno generato una via via più diffusa e pericolosa indifferenza verso la politica: che è uno dei grandi problemi del nostro tempo. Ma cos'è la politica per Hannah Arendt? E' il terreno della «convivenza e della comunanza dei diversi»; «nasce tra gli uomini»; è opera di «soggetti attivi»; non trae la sua natura dalla divisione tra l'essere dominati e il dominare, ma dal «non-essere-dominati» e dal «nondominare»; quindi «il senso della politica è la libertà» e la sua scena è «lo spazio pubblico», quello dove gli eguali si riconoscono secondo le regole di un apparire che è il contrario degli arcani del potere. Il compito proprio, autonomo, della politica non è l'amministrazione degli interessi degli anonimi soggetti che si muovono nel «sociale», bensì il rendere possibile il dialogoconfronto visibile e riconoscibile tra i diversi. L'origine di questa tradizione alternativa sta nello spazio della polis greca a cui Platone si oppose: essa ha fatto la sua ricomparsa nei brevi spazi di libertà - apertisi nel corso nelle rivoluzioni moderne, tra la rottura delle vecchie forme di dominio e la ricomparsa di quelle nuove - nei quali «il partecipare al governo coincideva direttamente con l'essere liberi». Una simile concezione, che si oppone frontalmente a ciò che la storia ha fatto della politica (ed è inevitabile e significativo che la Arendt contesti alla radice l'appello alla storia come fonte di legittimazione della politica prevalente), tro"" 1 ■> ultimo il suo nodo da sciogliei;. ,3 rniale nodo!) nel dato di fitto secondo ou. ..qu..:^ rivoluzioni, con le loro esperienze dirette della possibilità di agire politico, v.on sono riuscite, almeno fino a oggi, a tradursi in una forma di governo». Ma che cos'è una politica che non trova le vie di una forma di governo? Massimo L. Salvador!

Luoghi citati: Germania, Weber