Vacca: il riscatto parte da Napoli

Vacca: il riscatto parte da Napoli Vacca: il riscatto parte da Napoli LNAPOLI A figlia Valeria, quando ha visto quel quartier generale pieno di maschere di cuoio da teatro, le vetrine piene di sculture e tutto quello spazio, ha capito che difficilmente potrà godersi il padre come ha fatto finora. E così, nel bel mezzo di una convention è scoppiata a piangere: «Tu eri così bellino a fare il giudice, adesso perché vuoi fare quest'altra cosa che non mi piace. Speriamo che tu le perdi le elezioni». Il giudice è Giovanni Vacca, ed è il candidato del fronte progressista in Campania. Un uomo intelligente e piacevole, la barba bianca e corta, una cravattina un po' smortina che sottolinea il tono understatement di un campagna elettorale difficilissima: lui è un moderato, un giudice che non ha mai militato a sinistra, e che oggi si trova candidato di uno schieramento di centro sinistra, che però ha il suo perno nel pds e nei sindacati. Qui infatti il ppi di Gerardo Bianco presenta un candidato suo, e quello di Buttiglione conta poco. Il quartier generale è un circolo culturale stranissimo e veramente napoletano: cultura, eleganza, decadenza, spazi eccessivi, povertà eccessiva, tono borghese drammatizzato dalla consapevolezza. Mi descrive una sc^na, un quadretto cittadino: «Ero giudice quando si doveva processare un giovane malato terminale di Aids che era fuggito dagli arresti domiciliari, cioè di casa. Si presenta su una sedia a rotelle e racconta che i parenti l'avevano cacciato. Allora era andato a rifugiarsi dalla fidanzata. Ma lei non aveva paura del contagio? chiese la presidente. No, fece il giovane, non aveva paura perché è malata anche lei». Napoli, e la Campania che le sta dietro, è in una situazione di degrado mostruoso, ma il G7 di Berlusconi e il sindaco comunista Bassolino hanno dimostrato che la rotta si può invertire: «E' così - mi dice con voce aristocraticamente malferma Rosalba Cerqua, la capitana dell'impresa del giudice -, oggi gli alberghi sono tutti prenotati per Pasqua perché i turisti tornano, dopo essere fuggiti per decenni». Turismo, risanamento della palude umana e urbanistica, rilancio dell'economia e tutto il resto che si può immaginare, perché davvero non è difficile elencare in Campania che cosa non vada. E infatti il giudice che aspira a diventare presidente elenca con dovizia e ordine logico priorità e necessità, burocrazia e servizi. Ma come farà, mi chiedo e gli chiedo, a varcare la soglia della suburra? Come potrà parlare e farsi conoscere e capire dal sottoproletariato campano che è rinselvatichito, estirpato da qualsiasi regola di convivenza civile, lontano da ogni regola e legge, e i cui figli usano ormai uno slang dialettale di sole trecento parole? Lui lo sa. Ieri ha visto Mario Segni, ha visto e vedrà tutti i capi della politica, ma sa che non è così che vincerà, che potrà vincere le elezioni. E sa che il sottoproletariato urbano di Napoli e Salerno, Capua e Caserta e di ogni territorio e paese, non risponde ai richiami della ragione, delle leggi e della socità. E sa anche che Rastrelli, il ne¬ mico e avversario «old fascist» di Alleanza Nazionale, nel lumpen viceversa pesca bene perché le sacche popolari hanno sempre dato risposte politiche semplici e sentimentali, populiste e nazionaliste. E allora, poveruomo, che fare? Non è soltanto lui a chiederselo, ma tutto il suo staff: che sarebbero i figli Marilù e Peppe, più i tre nipoti Filippo, Umberto e Angelo, più la signora Cerqua e il cardine dell'apparato, Alfonso Iannucci della Cgil, che ha le funzioni di stratega. Ma nella campagna del giudice Vacca non c'è nulla che possa far pensare a una imitazione americana: soldi, poco o niente, idee generose e forti ma di difficile realizzazione. Lui, il magistrato, si presenta con lo slogan non originalissimo di «uomo al di sopra delle parti», ma ci crede fermamente e spiega: «Per fortuna io non conosco nessuno, non ho mai visto la gente che mi incontra, non saprei riconoscerla, non mi dovrà essere creditrice di nulla. Nessuno scambio: non devo niente a nessuno e così ha da essere se vogliamo cambiare pagina». L'incontro più importante, par di capire, è stato quello con gli alberghieri: padroni e sindacati. Sembra una cosa da nulla, invece è una faccenda importante. Alberghi vuol dire turismo, vuol dire quindi presenze esterne e straniere di gente che viene a spendere provenendo da altre città e comunità civili. Gente che finora aveva cancellato Napoli dai suoi itinerari perché città spaventosa, repellente, straziante, disfunzionale, dominata da gruppi malavitosi e vissuta da cittadini egoisti e insensibili (questo, s'intende, è ciò che «appare» da fuori). Aprire un fronte con alberghi e albergatori significa prendere accordi per offrire alla specie estinta dei turisti un habitat credibile. Dunque una civiltà risanata. In questo senso Vacca è un borghese vero: finché si fa un «discorso» sulla società civile, è un conto. Ma quando si passa agli aspetti operativi, e cioè a quelli con cui domani si spera di realizzare incassi e profitti, ma anche posti di lavoro e benessere vendendo l'immagine civile di un territorio che non lo è più, il meccanismo si inceppa. Si muove in macchina. Guida lui. Ha paura della guida altrui e generosamente tenta di riaccompagnarmi per via Roma intasata, mentre è diretto a Mondragone e Castelvolturno. In genere chi rifiuta gli autisti è un sano fifone che non vuole perdere il controllo della rotta, e questa caratteristica in politica, 0 meglio nell'arte del governo, è buona. Gli chiedo se una buona volta l'alta borghesia napoletana si è schierata, se sono scese in campo le schizzinose professioni, se 1 raffinati e pallidi intellettuali hanno provato a degradarsi dalle cattedre alla strada, un'altra delle antiche tare di questa terra, che produce cervelli eccelsi e solitari, menti distaccate e sostanzialmente fuggiasche o aristocratiche. Dice di sì. Ingegneri e farmacisti, medici e avvocati, apparentemente ci sono tutti. Di fatto, e va detto, Napoli in un anno ha cambiato faccia. Dunque, si può fare. Paolo frizzanti