IL CASO. Le lettere inedite rivelano i rancori del maestro Mascagni accusa Milano

IL CASO. Le lettere inedite rivelano i rancori del maestro IL CASO. Le lettere inedite rivelano i rancori del maestro Mascagni accusa Milano «Bottegai, speculano su Puccini» ~il 0 sono veramente sorpreso I di tutta la speculazione che 1 in Rana si fa sopra la svenI tura: la morte di Puccini ha B 1 svegliato nuove cupidigie e nuovissime ambizioni». Così scriveva Mascagni alla figlia Emy il 28 dicembre del 1924. E proseguiva: «La città di Milano vuole avere il monopolio delle salme degli uomini illustri. Hai letto il discorso del sindaco Mangiagalli sul feretro di Puccini?... Non si può andare più in là in materia di speculazione e di reclame: ha detto che Verdi morì e fu sepolto in Milano; e, dopo Verdi, Boito morì e fu sepolto in Milano; ed oggi, per quanto Puccini sia morto all'estero, Milano ha la gloria di avere la sua salma... Alla larga da questi necrofori jettatori! Mi aspettavo che continuasse, con l'augurio di avere in Milano tutti i morti illustri, anche se la loro morte avviene lontana dalla... necropoli lombarda...... Pietro Mascagni scriveva questa lettera (finora inedita) a un mese dalla morte di Puccini avvenuta improvvisa il 29 novembre del 24, a Bruxelles. La notizia aveva colto di sorpresa il compositore livornese in quelle settimane impegnato a Vienna. Già il4 dicembre ne scriveva alla figlia Emy non risparmiando neanche allora forti critiche ai milanesi: «... E sono anche molto addolorato ed avvilito nel vedere che quei bottegai dei milanesi hanno già iniziato una speculazione su Puccini. Mentre la famiglia voleva che la salma andasse a Lucca i bravi (?) milanesi l'hanno voluta a Milano... e Toscanini ha messo a disposizione la tomba della propria famiglia... Sono cose che fanno male... Ed intanto si sta già preparando la speculazione sull'opera postuma. Prima con Boito, ora con Puccini!... Ho avuto molto dispiacere neh'apprendere... che abbiano affacciato l'idea di far terminare a me la Turandot... io ho detto che l'opera deve essere eseguita così come si trova, anche se incompiuta: non si deve ripetere lo sconcio commesso col Nerone, tanto più che, per Puccini, sarebbe anche una profanazione, perché Puccini è stato un vero e grandissimo musi- cista e non uno stitico che aspettava sempre l'aiuto e l'elemosina di qualcuno e che in vita non la trovò... e l'ha trovata dopo morto...». Le due lettere alla figlia Emy fanno parte del fitto epistolario, di prossima pubblicazione, lasciato da Mascagni, circa seimila scritti indirizzati a parenti, amici, musicisti e personalità dell'epoca. Morto cinquant'anni fa, il 2 agosto 1945 all'Hotel Plaza di Roma, Mascagni è stato per decenni fra i protagonisti della vita musicale italiana. Spirito aggressivo e spesso polemico, non ha lesinato critiche e attacchi anche caustici all'ambiente musicale, culturale e politico del suo tempo. Alle parole di stima e di affetto dedicate a Puccini, al fraterno amico-rivale, compagno di studi e di avventure giovanili nella Milano scapigliata dei primi Anni 80, fanno da forte contrasto gli apprezzamenti nei confronti dell'ambiente milanese, di Boito e di Toscanini. Per tutta la vita Mascagni ebbe contrasti anche violenti con la ca¬ pitale lombarda. Giovane ribelle, nel 1885 fu allontanato, dopo uno scontro con il direttore Bazzini, dal Conservatorio «Verdi» e per vivere fu costretto a fare il direttore in una compagnia di operette finendo a insegnare a Cerignola. Raggiunta la popolarità con il trionfo improvviso e inaspettato di Cavalleria rusticana nel 1890, intrattenne rapporti spesso coiiflittuali con gli editori-padroni del mondo artistico milanese. Apparteneva alla scuderia di Sonzogno ma per Ricordi scrisse Iris. E con entrambi ebbe scontri frequenti. Nel luglio 1898, in un periodo di particolare tensione, non dimenticando mai quella vena ironica tipica dei toscani, raccontò al suo librettista e amico Luigi Illica: «... bisogna sempre tenere i due editori colla paura. L'ultimo colpo che tirerò sarà questo: scriverò una lettera a Ricordi dicendo l'ira di Dio di Sonzogno e viceversa scriverò a Sonzogno; poi... scambierò la busta. Rideremo». Con Boito, impegnato per anu. nel Nerone lasciato poi incompiuto, la rivalità risaliva ai primi Anni Novanta. Esuberante, ciarliero, diventato un personaggio alla moda (furoreggiava presso i barbieri il taglio «alla Mascagni»), il compositore livornese teneva conferenze stampa e non si faceva pregare per annunciare i propri piani creativi con largo anticipo. Nel 1892 dichiarò di essere impegnato a comporre Nerone «per il quale - sottolineò - l'egregio maestro Boito mi accorda ancora tanto tempo». Direttore d'orchestra di grande versatilità (fu lui a presentare per la prima volta in Italia la Patetica di Ciaikovskij), Mascagni mostrò spesso poca stima per le altre bacchette dell'epoca. In particolare ebbe scarsa simpatia per Toscanini con il quale c'era ruggine sin dal 1892: in quell'anno il celebre direttore doveva dirigere la prima dei Rantzau al Costanzi di Roma, ma dopo un litigio con il compositore gli lasciò il podio con grande gioia di Mascagni che non desiderava altro: «... Toscanini - scrisse l'artista livornese a Ricordi nel luglio 1897 - è un bel direttore, accurato, preciso sino allo scrupolo, ma un poco duro, angoloso, e la sua orchestra non ha mai quella elasticità che per me è essenziale in tutte le musiche...». Roberto levino A destra, Pietro Mascagni A sinistra, Giacomo Puccini morto nel 74 a Bruxelles