Massiccio bombardamento russo ai «santuari» dei ribelli in territorio afghano: un centinaio i morti Una nuova Cecenia per Ehsin di Giulietto Chiesa

Massiccio bombardamento russo ai «santuari» dei ribelli in territorio afghano: un centinaio i morti Massiccio bombardamento russo ai «santuari» dei ribelli in territorio afghano: un centinaio i morti Una nuova Cecenia per Ehsin La guerra travolge il Tagikistan LA POLVERIERA DELL'ASIA CENTRALE SMOSCA I estende e si complica la guerra in Tagikistan, dove le truppe di frontiera russe sono ormai impegnate quotidianamente in aspri combattimenti con i ribelli del Movimento della Rinascita Islamica, che partono dalle basi operative in territorio afghano. Gli aerei russi, otto per la precisione, hanno sferrato un micidiale bombardamento sul quartier generale dei ribelli tagiki, situato nel villaggio di Talukan, provincia afghana di Takhar, causando un centinaio di morti. Ma la guerra è ormai altrettanto presente dentro i confini tagiki, specie nella regione del Gorno-Badakhshan. Dopo il massacro del 7 aprile, in cui hanno perduto la vita ben 34 guardie di frontiera russe, gli elicotteri del Cremlino hanno bombardato i distaccamenti di autodifesa degli islamisti ismailiti nei pressi di Khorog, la capitale del Gorno-Badakhshan. Altre decine di morti, tra cui sei guardie russe, mentre il loro comandante in capo generale Andrei Nikolaev parla preoccupato di «massa critica da guerra civile» e invita Mosca ad aumentare il contingente russo oltre i 18.000 uomini di cui attualmente dispone. Ieri e l'altroieri Nikolaev è stato ricevuto per ben due volte da Boris Eltsin, ancora in vacanza sul Mar Nero. Pare che, tra le altre cose, gli abbia chiesto di influire sul ministro della Difesa Pavel Graciov, affinché le sue guardie di frontiera possano fruire dell'appoggio della 201 esima divisione motorizzata e degli altri reparti dell'esercito russo stanziati in Tagikistan come parti del contingente di pace multinazionale della Comunità di Stati Indipendenti (Csi). Secondo indiscrezioni riportate ieri dai giornali moscoviti, tra Graciov e Nikolaev non correreb- be buon sangue, e questo spiegherebbe l'immobilità delle forze russe, e le conseguenti gravi perdite delle guardie di frontiera. Ma il problema è ben più spinoso delle dispute personali tra generali. Cedere terreno sulla frontiera tagiko-afghana significa aprire l'accesso a tutto il territorio dell'ex Unione Sovietica, mentre la situazione dei 12 milioni e mezzo di russi ancora intrappolati nelle Repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale si va facendo sempre più precaria. Ieri la ItarTass ha reso noto un durissimo comunicato presidenziale in cui si annuncia che il Cremlino ha denunciato unilateralmente l'accordo con la Turkmenia (anch'essa confinante con l'Afghanistan) che prevedeva la dislocazione delle guardie di frontiera russe anche in quella Repubblica. Il contingente sarà dunque ritirato - scrive l'agenzia ufficiale russa senza alcuna spiegazione lasciando senza copertura l'intera frontiera turkmena. Il che implica, inevitabilmente, che la Russia accentuerà i controlli alle proprie frontiere con la Turkmenia e lungo le coste del Mar Caspio. L'intera zona è infatti in piena ebollizione. Sempre di ieri è la notizia della nascita, in Azerbaigian, di un nuovo movimento il cui obiettivo è «l'unificazione di tutti gli azeri sotto un'unica patria». Il movimento sarebbe appoggiato dall'ex presidente Elcibei, deposto con la forza oltre un anno fa da Gheidar Aliev, e che ora si trova nel villaggio natio nel Nakhicevan, l'enclave azera che confina con l'Iran. La notizia cade come una bomba in un panorama già altamente instabile. Basti tenere conto che in Iran vivono non meno di 25 milioni di azeri, quasi cinque volte l'intera popolazione dell'attuale Azerbaigian. Una rivendicazione di questo genere significa portare - presto o tardi - la guerra dentro l'Iran. E c'è a Mosca chi sospetta che il Movimento per la riunifica¬ zione degli azeri sia ima creatura degli americani, interessati a destabilizzare quanto più è possibile la situazione a Teheran. Ieri comunque i presidenti di Kazakhstan, Kirghizia e Uzbekistan, riuniti ad Alma Ata, hanno esaminato congiuntamente i pro¬ blemi del rafforzamento della vigilanza alle frontiere Sud della Csi. Tutti e tre evidentemente preoccupati della piega che stanno prendendo gli avvenimenti militari e dell'influenza islamica che potrebbe dilagare in tutta l'Asia centrale nell'eventualità che il governo pro-russo di Dushanbè non riesca a reggere di fronte alla pressione dei ribelli. Nazarbaev, Akaev e Karimov hanno fatto appello alle parti in guerra dentro e fuori il Tagikistan per una soluzione negoziata del conflitto, proponendo la capitale kazaka come sede del negoziato al posto di Mosca, ormai troppo invischiata nel conflitto dalla parte del governo di Dushanbè. L'incontro, già previsto con i buoni uffici dell'Orni, si sarebbe dovuto tenere a Mosca il 17 e 18 aprile, ma la sua effettuazione sarebbe ormai in forse nonostante la missione in extremis effettuata in Afghanistan dal rappresentante personale di Boutros Ghali, Ramiro Piris-Ballon. Per Boris Eltsin, già impegnato nell'interminabUe conflitto cerano, si delinea uno scenario da incubo: essere trascinato in un conflitto non solo di vaste proporzioni, ma soprattutto suscettibile di una rapida internazionalizzazione. La zona del Gorno-Badakhshan, infatti, è uno dei più complessi crocevia mondiali di frontiere. Cina, Afghanistan, Pakistan, Iran vi si annodano in un fazzoletto di qualche centinaio di chilometri quadrati, e la Turchia, sebbene un po' più lontana, manifesta un crescente interesse a usare l'instabilità presente per espandere la sua sfera d'influenza. L'interrogativo principale è se la Russia sia oggi in grado di svolgere un ruolo di gendarme in un tale groviglio. Giulietto Chiesa Stato di allerta al crocevia di frontiere calde Rischiano di essere coinvolti anche Pakistan e Iran Le truppe di frontiera russe impegnate con i ribelli tagiki