«Un complice ha aiutato Pacciani»

Il giudice indica altre responsabilità per l'ultimo duplice delitto del «mostro» Il giudice indica altre responsabilità per l'ultimo duplice delitto del «mostro» «Un complice ha aiutato Faccioni» Firenze, in500pagine i perché della condanna FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Ma è proprio finita? Uno sterminato racconto, 526 pagine dattiloscritte ben allineate per dire «mostro». Ma non per affermare che la storia sia conclusa. Perché il «mostro di Firenze», sospetta la corte d'issise, e soprattutto il suo presidente, Enrico Ognibene, non era solo Pietro Pacciani, condannato al carcere a vita. Ai sabba consumati sulle colline toscane, oltre al contadino dal volto rubizzo, questa è la convinzione, parteciparono anche altri, gli amici sciagurati, alcuni dei quali son passati nell'aula lasciandosi dietro un qualche cosa di luciferino, un acre odore di zolfo e la sensazione nei giudici di aver di fronte qualcosa di diverso da ostinati testimoni a discarico. Sono le 9,55, ieri, quando in Cancelleria è depositato il volume delle «motivazioni» per l'ergastolo inflitto al Pietro il 1° novembre dell'anno passato, martedì, giorno di Ognissanti. Il processo era cominciato il 19 aprile. Pacciani è responsabile di sette degli otto duplici omicidi attribuiti alla Beretta calibro 22. Da solo o in compagnia era lui a seminar morte nei dintorni della città. Non ci son dubbi, fra il 1974 e il 1985 fu lui a impugnare l'arma e lui a fare scempio delle vittime con un coltello. Delitti con una «costante, precisa sottolineatura a sfondo sadico-sessuale, con una progressione criminosa che si interrompe solo in alcune occasioni per fattori casuali per riprendere poi in crescendo con la duplice asportazione pube-seno sinistro nei due ultimi duplici delitti». Al contrario, nessuna certezza, soltanto sospetti, per il primo delitto, quello di Lastra a Signa, quello attribuito a un clan di sardi, e per il quale fu condannato Stefano Mele, il marito della vittima, Barbara Locci. Non è stato possibile raggiungere «la ragionevole convinzione sulla colpevolezza di Pacciani». LA PISTOIA. Una Beretta calibro 22 caricata con proiettili Winchester long rifle, serie H. Introvabile. Per la prima volta uccise proprio in quell'agosto del '68, sembrò un delitto d'onore. Per quel fatto, il Pietro è stato assolto, «insufficienza probatoria», sottolinea il giudice, e dunque lui è fuori «per non aver commesso il fatto», ma soltanto perché è stata cancellata l'insufficienza di prove dal nostro codice. I sospetti, tuttavia, dalla testa dei componenti la corte non li ha cancellati nessuno. Forse la Beretta era già in mano a Pacciani, quando fu commesso il delitto iniziale. Forse. Il fatto è che un'arma così piccola è facile da occultare. E lui, il Pietro, è capace di qualsiasi cosa, sostiene Ognibene, uno «feroce e sanguinario», uno che mostra in ciò che fa «perversa scaltrezza», uno che «ha sempre mentito, in maniera spesso spudorata». Uno che ha tenuto, davanti ai suoi giudici, un comportamento «improntato ai canoni della più totale menzogna, della più assoluta mistificazione, della più inveterata frode». I COMPLICI. Qualcuno c'era, ad aiutarlo, sostiene il presidente Ognibene. Si deve tornare indietro di lustri per capire le ragioni della follìa omicida, si asserisce nelle motiva- zioni, tornare a quel delitto compiuto nel 1951, a Vicchio di Mugello, a quel fatto che segnerà tutta la vita del Pietro. Quella volta, quella prima volta, lui aveva ammazzato, col coltello e con una pietra, un giovanotto che stava per fare l'amore con la Miranda Bugli, che lui considerava la «sua» donna e che anche il giorno della deposizione gli fece battere il cuore: «E' ancora bella», sospirò in un raro momento di tenerezza. L'ha inseguita sempre, la Miranda, e il presidente dell'assise ora scrive: «Vi è nel comportamento dell'imputato, che cerca costantemente la donna amata, che porta le figlie, asseritamente, a vederla stando in disparte, che mostra loro le foto ravvicinate di un rapporto orale, fingendosene protagonista assieme a lei, quasi un gratuito e patetico tentativo di possederla ancora in qualche modo, di starle vicino, di averla ancora per sé e per sé soltanto. E', forse, proprio il definitivo abbandono del Pacciani al suo destino da parte della Miranda ad esaltare ancor più nella mente dell'uomo il ricordo del tradimento originario a cui ebbe ad assistere stando nascondo nel folto dei cespugli quel lontano 11 aprile '51 e nel quale verosimilmente risiede la chiave degli ulteriori delitti. La Miranda vista nel suo invitante conce¬ dersi al Bonini, nel suo dischiudergli il grembo, nel suo scoprirgli il seno sinistro, è 1' "orrendo spettacolo" ricordato dal Pacciani che segna con un marchio di fuoco l'animo di lui, che gli fa rivivere negli incontri notturni delle coppie il tradimento consumato quel giorno dalla propria donna, in un quadro sessuale alterato da abitudini turpi e degenerate». E allora? Allora, prosegue il presidente, «assalendo la coppia il Pacciani rivive, ripetendolo, il dramma di quel giorno e lo completa uccidendo anche la donna, come avrebbe voluto fare anche allora ma non potè, perché troppo grande inibente era la passione amorosa che nutriva per Miranda». GLI SCOGLI. Gli scogli contro i quali è naufragata la difesa del Pietro sono un blocco da disegno, trovato a casa sua, appartenuto, secondo la corte, a uno dei ragazzi tedeschi: non era in vendita nel nostro Paese e Pacciani non ha fornito una spiegazione accettabile. «Era delle mie figliole, l'ho trovato in una discarica». Poi un portasapone, anch'esso, «forse», dei tedeschi. Poi, ancora, una cartuccia Winchester LR serie H, ma spuntata dall'orto di Pacciani e, pare, uscita dalla Beretta assassina. LE RESPONSABILITÀ'. Provate al di là di ogni incertezza «inequivocabil¬ mente» in quelle nei delitti del 9 settembre 1983 a Giogoli, vittime i due giovani tedeschi Uwe Ruesch e Horst Meyer, e dell'8 settembre 1985, agli Scopeti, dove furono uccisi i francesi Nadine Mauriot e Jean-Michel Kraveichvili. Ed è, questo, l'ultimo della serie. Un duplice omicidio, «pur da ricondurre alla mano di Pacciani», per cui è possibile che costui sia stato «ausiliato nell'occasione da un complice allo stato non identificato, ma in posizione comunque a lui sottordinata e subordinata, sia nella fase di preparazione che in quella di esecuzione del crimine». Ma non è tutto. Prosegue Ognibene: «Si è visto che la difesa dell'imputato ha sostenuto l'impossibilità per l'imputato di sollevare di peso e scaraventare nella scarpata il cadavere del Kraveichvili Michel: cosa che sarebbe stata certo molto più facile ed agevole se ad ausiliare il Pacciani vi fosse stata, in quel momento e in quel luogo, altra persona a lui legata da vincoli scellerati». Ma è proprio finita? Al di là dell'«intimo convincimento del giudice» conclamato con tanta certezza, nelle 500 pagine è difficile cogliere momenti definitivi. Il Pietro è nella sua cella al primo piano del carcere di Sollicciano, quella con la finestra sui campi. C'è tornato da una decina di giorni, dopo una sosta all'ospedale di Careggi dove lo avevano trasferito per i suoi guai al cuore. «Voglio proprio leggere che cosa scriveranno di me», ha continuato a ripetere in questi mesi d'attesa. Il suo difensore, Rosario Bevacqua, ieri ha commentato: «Resto convinto dell'innocenza di Pietro». E l'altro difensore, Pietro Fioravanti, ha rinnovato la sua guerra con Ruggero Perugini, il poliziotto che fu a capo della squadra antimaniaco (ora è a Washington). Ma accenna ai «molti testi che dovevano essere accusati di falsa testimonianza, e invece la corte si è accanita contro Bruni, il vecchio guardacaccia, perché non disse, una volta in aula, quello che loro volevano, e cioè che aveva visto una volta il Pacciani con la Beretta». Ma allora è proprio finita? Vincenzo Tessandori Il contadino di Mercatale viene descritto come un uomo «feroce e sanguinario» Le motivazioni della sentenza lasciano però aperti molti interrogativi I . '.f-ÌITi^::;'"" WÉC . S'ìm Enrico Ognibene, presidente della corte d'assise che ha condannato Pacciani A sinistra la scena dell'ultimo delitto compiuto dal «mostro» di Firenze: quello dell'8 settembre 1985 in cui vennero uccisi, agli Scopeti, i francesi Nadine Mauriot e Jean-Michel Kraveichvili A sinistra Pietro Pacciani, condannato per 7 degli 8 duplici delitti compiuti dal mostro. A destra, il procuratore capo di Firenze Piero Luigi Vigna

Luoghi citati: Firenze, Lastra A Signa, Vicchio, Washington