Dancalia l'avventura si chiude in giallo di Francesco Fornari
9 Dopo giorni di estenuanti interrogatori, oggi arrivano a Milano. Rischiavano 6 mesi di carcere Dancalia, l'avventura si chiude in giallo L'Etiopia espelle i 9 italiani: «Un esempio per tutti» DAL NOSTRO INVIATO Hanno rischiato una condanna a sei mesi di carcere ma alla fine è prevalsa la questione umanitaria e l'avventura dei nostri 9 connazionali, incominciata 23 giorni or sono nell'inferno della Dancalia, si è conclusa ieri mattina alle 11, con un provvedimento di espulsione per ingresso illegale in Etiopia. Un epilogo sofferto cui si è arrivati dopo giorni di attesa angosciosa, specialmente gli ultimi due, quando i nove sono stati riconvocati per un ennesimo interrogatorio e trattenuti per 48 ore in una residenza del ministero degli Interni dove hanno ripetuto all'infinito il racconto di quei giorni trascorsi nel deserto, dal momento del sequestro da parte degli Afar a quello della liberazione. Le autorità etiopiche sembravano poco propense a credere che persone che nella vita svolgono attività di tutt'altro genere - impiegati, commercianti, pensionati - potessero affrontare un viaggio tanto scomodo quanto pericoloso. Dell'interrogatorio, i nostri connazionali sottolineano le pressanti domande sulla loro vita, gli scopi dell'associazione culturale di cui fanno parte, i trabocchetti per scoprire se il viaggio aveva interessi scientifici, se l'obiettivo erano ricerche geologiche. Mercoledì sera la disperazione aveva incominciato a serpeggiare fra i sei uomini e le tre donne, come risulta da una lettera scritta dal capogruppo, Claudio Pozzati, alla moglie Luciana. Debilitati dalle lunghe ore di interrogatorio (alla presenza del primo consigliere dell'ambasciata Ferdinando Gentilini, di due interpreti e due avvocati); costretti a dormire su brande sistemate negli uffici, in non perfette condizioni fisiche (una donna sofferente di disturbi intestinali, altri talmente agitati da non riuscire a chiudere occhio la notte), invocavano un intervento da parte del governo italiano che mettesse fine ad una «detenzione» che si protraeva ormai da sei giorni. Da quando liberati dai militari etiopici, erano stati privati dei passaporti e trasportati a Addis Abeba, dopo due giorni di sosta in un villaggio nei pressi di Makallè. Ma ormai la situazione si stava sbloccando, grazie anche all'intervento del nostro ministro degli Esteri Susanna Agnelli (che ieri ha ringraziato le autorità etiopiche per la loro «fattiva collaborazione» alla soluzione della vicenda) e all'attiva presenza dell'ambasciatore Melani, in costante contatto col ministro degli Esteri etiopico e con le autorità di polizia. Così ieri mattina alle 10,30 sono stati portati nella sede del Comando centrale, dove erano stati convocati anche i giornalisti. Alle 11, nella grande sala della biblioteca, sono arrivati il capo della polizia Hassan Shifa e l'ambasciatore Melani. Hassan Shifa ha letto il comunicato ufficiale nel quale, dopo aver ricordato che «intorno al giorno 24 marzo nove cittadini italiani erano entrati illegalmente in Etiopia dall'Eritrea ed erano stati sotto il controllo di persone», si preci- sa che il governo etiopico si era per prima cosa preoccupato di garantire la loro sicurezza e, quando erano ormai sotto la protezione governativa, «dal momento che c'erano ragioni che richiedevano dei controlli» erano state avviate indagini che avevano accertato il loro ingresso illegale in Etiopia, e «un tale reato poteva causare un arresto fino a sei mesi. Considerando le particolari circostanze e facendo prevalere le questioni umanitarie, il governo transitorio aveva deciso di rilasciarli con l'obbligo di partire dall'Etiopia entro 72 ore». La vicenda si è conclusa ma molti punti restano oscuri. Da chi sono stati catturati i nostri conna- zionali? Il capo della polizia a questa domanda ha risposto: «Non so quale gruppo li abbia catturati. Esistono gruppi armati di Afar che si combattono fra loro, alcuni favorevoli al governo, altri contrari. Sicuramente il sequestro non è avvenuto per ragioni politiche: gli Afar li hanno solo avvistati e catturati, poi dopo due giorni ci hanno avvertiti e noi siamo andati a prenderli. Il fatto che siamo andati con un elicottero, senza militari, dimostra che non c'erano problemi». Più che da una banda di predoni, dunque, i turisti sarebbero stati «catturati» da un gruppo militare che fa capo all'amministrazione locale. «Nella regione - ha spiegato Hassan Shifa - c'è un esercito Afar perfettamente legale». E' soddisfatto delle spiegazioni che hanno fornito gli italiani sulla loro presenza in Etiopia? «Io ho avuto molti dubbi, perché questo è il mio lavoro. Ma gli italiani sapevano perfettamente dove si trovavano e sono entrati volontariamente in Etiopia. Questo dev'essere un esempio per tutti: c'è una legge precisa e va rispettata». I turisti hanno sempre detto di essere stati catturati il 21 marzo, nel comunicato invece si parla del 24. Questa differenza di date è il nodo cruciale: considerando i loro spostamenti, poche ore di marcia nelle prime ore del giorno e dopo il tramonto, fino alle prime ombre della notte, quando la temperatu¬ ra è più sopportabile, il 21 marzo erano ancora in Eritrea, tre giorni dopo, invece, dovevano essere sicuramente in Etiopia. Ecco il motivo dell'espulsione: secondo le autorità etiopiche gli italiani sono entrati consapevolmente nel loro Paese. Finalmente sorridenti, i nostri connazionali sono usciti dal comando di polizia e ieri alle 22,40 sono ripartiti con un volo della Lufthansa diretto a Francoforte: arriveranno a Milano questa mattina alle 9,10, lasciandosi alle spalle l'inferno dancalo con i suoi mille segreti. Oggi ce n'è uno in più: la vera storia della loro cattura. Francesco Fornari Secondo Addis Abeba sono stati catturati dagli Afar il 24 marzo I turisti: i ribelli ci hanno presi tre giorni prima I nove italiani davanti all'ambasciata nella capitale etiopica In alto, Meles Zenawi
Persone citate: Claudio Pozzati, Ferdinando Gentilini, Hassan Shifa, Melani, Meles Zenawi, Susanna Agnelli
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