C'è anche chi sogna l'inflazione in ripresa di Alfredo Recanatesi

=1 OLTRE LA LIRA C'è anche chi sogna l'inflazione in ripresa A partita che si sta giocando sulle prospettive dell'inflazione è sempre più pesante. Lo è non solo perché pesanti sono gli interessi, economici e politici, che una ripresa del clima inflazionista potrebbe appagare, ma soprattutto perché ne sono coinvolte la politica dei redditi e la politica di bilancio dal cui equilibrio dipende la possibilità che l'economia italiana continui a crescere, consolidarsi e distribuirsi più omogeneamente. E' facile comprendere che un'inflazione che risalisse non episodicamente al 6% metterebbe a durissima prova la tenuta della politica di moderazione salariale che sta trovando conferma anche nei contratti appena chiusi; e renderebbe pressoché impossibile difendere i miglioramenti conseguiti nei conti pubblici per il semplice e lampante motivo che non ci sono tagli di spesa o incrementi di entrate che possano compensare gli oneri che deriverebbero allo Stato da una risalita al 13% ed oltre dei tassi di interesse. Un'inflazione del 6% è stata prevista, appunto, da uno studio presentato dalla Confcommercio. Con questa argomentazione: il 6% potrà essere raggiunto perché c'è un arretrato di rincari da smaltire. E' quello che, semplificando, si è accumulato in quanto l'aumento del prezzo in hre della maggior parte dei prodotti importati è ancora inferiore a quello che dovrebbe risultare applicando ai vecchi prezzi l'intera perdita della lira. Siccome ammonta a circa il 15% la svalutazione della lira che non si è ancora trasferita sui prezzi, lo studio conclude che, quando questo trasferimento sarà compiuto, peserà per circa un punto sulla media dei prezzi, facendo salire l'inflazione da un episodico 5%, calcolato scontando il gradino determinato dalla manovra sulle imposte indirette, al meno episodico 6%. Il calcolo quantitativo potrà anche essere corretto, ma è il ragionamento che vi s'imbastisce sopra che non lo è, ed almeno per due motivi. Il primo è che gli esportatori stranieri, o gli importatori italiani, rinunciano ad effettuare questi rincari non perché siano opere pie, ma perché li porrebbero fuori mercato rispetto alla concorrenza italiana. Per questo aspetto, dunque, il problema si sposta sulTimpedire che la produzione italiana rincari, magari per accrescere gli utili d'impresa, e qui opera e deve continuare ad operare il contenimento della domanda interna determinato sia dalla politica monetaria che dalla politica dei redditi. Il secondo motivo è che il rincaro dei prodotti all'importazione può essere almeno in parte compensato da un aumento dell'efficienza, e quindi da una riduzione di altre componenti di costo, della catena della produzione e della distribuzione. Anche questo sta avvenendo: la manifatturazione si sta avvalendo di consistenti aumenti di produttività sia del I lavoro che degli impianti, menI tre nella distribuzione la ridu- zione del fatturato delle piccole aziende di commercio a favore della grande distribuzione indica un'evoluzione strutturale che serve anche al fine di contenere i prezzi finali. Non vogliamo intendere che l'analisi dalla Confcommercio sia strumentale agli interessi della categoria, composta essenzialmente da una moltitudine di piccole aziende familiari. Certo è, però, che la frammentazione che ancora si riscontra nella struttura distributiva italiana è una delle componenti emblematiche che induce a preservare l'esistente e, quindi, a dare per scontato che il rincaro di un prezzo all'origine debba necessariamente ed integralmente trasmettersi al prezzo finale, e a dare per scontato, in definitiva, che ora l'inflazione debba necessariamente ripartire e che non ci sia niente da fare. E invece, come dimostra la tenuta dell'inflazione dalla svalutazione del '92 in poi, l'Italia sta beneficiando in questi anni del recupero di ritardi che consente ampie compensazioni all'interno della sua struttura economica. Basti pensare all'incremento di produttività derivante dalla maggiore flessibilità del lavoro che ha un pesante costo nel sovvertimento dei vecchi rapporti tra produzione e occupazione, ma almeno si riconosca che sta riducendo l'incidenza del costo del lavoro e dell'ammortamento degli impianti sui costi unitari di produzione. E allora, se alcune importanti componenti di costo si riducono; se, contestualmente, le imprese, o almeno molte di esse, conseguono consistenti utili; se i costi di distribuzione continueranno gradatamente a scendere, dove sta scritto che le importazioni più costose non possano essere sostituite da produzione nazionale e, dove non sia possibile, i rincari non possano essere compensati all'interno dei processi produttivi e distributivi? Certo, a provarci saranno in molti; la scusa c'è, sia per gli industriali che per i negozianti, poiché gli uni e gli altri tendono comunque a guadagnare di più (o a non guadagnare di meno). Del resto, quante volte ognuno di noi si è trovato di fronte a richieste di prezzi più alti motivate dalla caduta della lira, magari per roba che con l'estero non ha nulla a che fare? La partita, perciò, è grossa; ma darla fin d'ora per persa fa parte del gioco di chi, avendo da guadagnare dalla redistribuzione del reddito e della ricchezza che l'inflazione opera, sta ovviamente dalla parte dell'inflazione. Alfredo Recanatesi esi |

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