la ribelle che «ripudiò» il padre

lu ribelle che «ripudiò» il padre Per cercare di salvare il marito dalla fucilazione sfidò anche Hitler lu ribelle che «ripudiò» il padre Gli gridò: la guerra è persa e tu sei pazzo I Edda Ciano c'è una bella fotografia scattata agli inizi degli Anni Sessanta nella sua villa di trenta stanze al Castiglione di Capri che strapiomba su Marina Piccola: lei è nel soggiorno e ha accanto un ritratto di Mussolini in cui la somiglianza fisica col padre (mascella quadrata, occhi tondi, sguardo fisso) non è disgiunta dai segni distintivi d'un carattere profondamente diverso, quello duro, ribelle e testardo che Edda rivelò nel '44 quando, riscattando una vita sbagliata, sfidò Hitler e si batté con coraggio determinato nel vano tentativo di strappare il marito al plotone di esecuzione di Verona. Forse anche per questo Sumner Welles la definì «una Mussolini di ferro». Edda nacque a Forlì, in un poverissimo caseggiato di via Merenda, alle 3 del mattino del primo settembre 1910, anno in cui suo padre, ventisettenne, era ancora uno sconosciuto agitatore socialista che andava a manifestare sulle piazze di Romagna ora per la fucilazione dell'anarchico Ferrer, ora per l'arrivo dello zar in Italia e, spesso, entrava ed usciva di galera. Il nome per Edda - che si chiamò anche Rosa ed Edvige come la madre e la sorella del futuro Duce - lo scelse lui, sembra con una riminiscenza ibseniana per via di un dramma teatrale in voga a quel tempo. Benito e Rachele, che si sarebbero sposati solo di lì a cinque anni, decisero di non far battezzare la loro primogenita che già allora ebbe la sua leggenda perché si sussurrò che fosse in realtà figlia della socialista rivoluzionaria russa Angelica Balabanoff con la quale Mussolini aveva pratica (diceria sempre smentita, ma Rachele, in casa, la chiamava «bastardella» e la stessa Edda, nel '45, parlando con Alien Dulles, osservò enigmaticamente che «quando andai in Russia fu come se tornassi a casa mia»). I biografi sostengono che fra tutti i figli di Mussolini Edda era l'unico vero maschio («Il mio più grande rammarico - confesserà in questo dopoguerra - è stato sempre di non essere un uomo»): fu fra le primissime ragazze italiane a portare i pantaloni, a guidare l'auto e a indossare una specie di «bikini» ante litteram; lo stesso suo linguaggio, al pari di quello paterno, fu spesso crudo e fin troppo esplicito: a un ricevimento a Londra le scappò detto che «in Italia ci si annoia, troppe cerimonie fasciste», e un'altra volta si lamentò con un giornalista americano di dover «recitare la parte della figlia del Duce» (e poi ce ne volle per impedire che la battuta venisse pubblicata). Magra, media statura, bruna, un viso non bello ma interessante, sul finire degli Anni Trenta il padre progettava di sposarla al principe ereditario Umberto e se poi abbandonò l'idea fu solo per il timore di un rifiuto da parte di re Vittorio. Il capo della Polizia, Bocchini, non tardò a scoprire che Edda passava da un innamoramento all'ai- tro (le voci le attribuivano fra i più assidui corteggiatori un capostazione, un nobile romagnolo, un banchiere ebreo) e la famiglia si allarmò decidendo di darle subito marito: la scelta cadde su Galeazzo Ciano, conte di Cortellazzo e figlio dell'ammiraglio Costanzo, eroe della dannunziana «beffa di Buccari». Si sposarono nell'aprile del '33; lei aveva 23 anni, lui 30. Fu, malgrado tutto, un matrimonio d'amore ma il solido legame iniziale andò attenuandosi - per poi sparire dissolto dai contrasti e dalle reciproche, e accettate, avventure galanti - dopo la nascita dei tre figli, Fabrizio, Raimonda («Dindina») e Marzio. Quando Ciano, ch'era in carriera diplomatica, divenne ministro degli Esteri e, per tanti, il «delfino» di Mussolini, Edda cominciò a viaggiare, a frequ ntare molte compagnie maschili e luoghi mondani provocando ridde di pettegolezzi (all'Archivio Centrale dello Stato sono ancora oggi conservate decine di denunce anonime sugli spregiudicati comportamenti di Edda), i litigi col marito divennero sempre più aspri e frequenti - anche perché lei giocava for¬ te a poker, non aveva fortuna e faceva grossi debiti - tanto che, attorno al 1937-38, pensarono ad una separazione. Ma la ragion di Stato la impedì. Benché figlia prediletta del dittatore e moglie, ascoltata, del ministro degli Esteri, Edda non si occupò mai di politica: impreparata al potere, dal quale non si sentiva attratta, si tenne sempre lontana dagli ambienti del regime e del governo e in sostanza fu solo la figlia del Duce, bizzarra, superba, capricciosa e imprevedibile, che chiamava «bertuccia» la suocera Carolina e che, scop¬ piata la guerra, si arruolò volontaria nella Croce Rossa all'insaputa di Galeazzo e della famiglia, fece naufragio con la naveospedale «Po» silurata dai greci al largo di Valona e andò prima con i soldati sul fronte russo, nel '42, e poi in Sicilia. Era a Livorno, a fare i bagni a Calafuria, il 25 luglio '43, alla caduta di Mussolini provocata da quel colpo di Stato al quale aveva aderito anche suo marito: lei e Galeazzo volarono in Germania assieme ai figli sperando che i tedeschi gli avrebbero concesso un passaporto per la Spagna. Invece era un inganno ordito dalla Gestapo: Ciano venne arrestato, condotto a Verona in catene e consegnato a Salò perché lo processassero. Edda, messi i figli al sicuro in Svizzera, si lanciò nella disperata impresa di salvare il marito barattando la sua vita con quei «Diari» in cui Galeazzo metteva sotto accusa, con gravi rivelazioni, la Germania nazista, i suoi massimi dirigenti, la sua politica estera. Ci sarebbe forse riuscita ma il capo della Gestapo, Kaltenbrunner, e Goebbels, fecero fallire l'impresa. Edda non s'arrese, ricorse alla sua famiglia: prima parlò con la madre ma Rachele disse che non avrebbe mosso un dito per salvare il genero, poi andò a colloquio col padre e fu «una cosa terribile», come dirà più tardi Gina Ruberti, la vedova di Bruno Mussolini. Il Duce affermò che «la giustizia deve fare il suo corso», lei picchiò i pugni sul tavolo, gli gridò che era pazzo e che la guerra era perduta. Invano minacciò di pubblicare subito i «Diari»: il padre fu irremovibile e lei se ne andò sbattendo la porta. Il 19 gennaio '44, due giorni prima della fucilazione del marito, Edda, travestita da contadina, fuggì in Svizzera portando con sé i «Diari» ai quali aveva già strappato le pagine 1 *83 Si UtR £9 che Galeazzo le aveva indicato. Là, pochi mesi dopo, sentì per radio che il padre era stato giustiziato: «Ero ricoverata in casa di cura a Monthey. Quel mattino alle 11 e un quarto accesi la radio e presi Milano. E sento una voce che dice: "In questo momento una folla enorme si avvia a piazzale Loreto a vedere il cadavere di..."». Nell'agosto '45, espulsa dalla Svizzera e spedita in Italia, venne confinata a Lipari per un anno. Il 25 giugno '46 tornò libera, chiese - ed ebbe - la pensione come vedova di un ministro di Stato ed andò a vivere fra Capri e Ponte a Moriano, il paesino del Livornese dov'era nato Galeazzo. In quegli anni pensò anche di scrivere l'autobiografia - progetto che poi abbandonò - con un titolo che il marito le aveva suggerito dal carcere di Verona, «What a life!» («Che vita!») e nell'abbozzo, mai portato a termine, l'odio verso il padre si stemperava: «Ero l'unica che osava parlargli francamente, come a un amico, spesso come a un avversario. Gli volevo bene. E' stato orribile dover scegliere e scontrarci ferocemente in famiglia: ma mia madre ha difeso il suo uomo e io il mio». Giuseppe Mayda «Quando ero bambina mi affascinava con le sue avventure Ha vissuto da uomo Solo al mio matrimonio si è rimessa la gonna» Da sin. Alessandra, figlia di Romano Mussolini e parlamentare di An, e Vittorio fratello di Edda Verona '44 i fascisti fucilano Galeazzo Ciano con gli altri «congiurati» del 25 luglio A destra: Edda con il padre e i fratelli