L'INFINITA GUERRA TRA SIMILI di Barbara Spinelli

imi L'INFINITA GUERRA TRA SIMILI nanza democratica. Forse si potrà incorporare la nozione della democrazia comepòkmos come conflitto - solo il giorno in cui ci si libererà del mostruoso duello fra i due archetipi in lotta. Forse gli italiani si abbarbicano a quel conflitto perché adorano segretamente le armonie integraliste che son loro promesse dagli attori dell'immaginario conflitto. Perché non sanno contrapporsi se non sotto forma di litigio, non sanno polemizzare se non adoperando il persiflage, il vituperio tribal-familiare. Ma all'origine dell'anomalia italiana c'è qualcos'altro: qualcosa che solo da noi è un nondetto, un tabù. Solo in Italia il conflitto totalizzante tra fascismo e comunismo è ricordato e descritto come qualcosa di reale e non già di apparente, di menzognero come effettivamente è stato. Ancor prima che cadesse il muro di Berlino, infatti, la realtà era visibile, e la realtà mostrava le somiglianze sotterranee fra comunismo, fascismo, nazismo. Mostrava le complicate derivazioni, il reciproco nutrirsi, definirsi, influenzarsi. L'ultimo libro dello storico Francois Furet (// passato di un'illusione, ed. Laffont) spiega con magnifica precisione questa rete di somiglianze ideologiche, di parentele passionali ed emotive, ma prima di Furet si sono espressi in questo senso altri spiriti liberi, almeno in tre decenni decisivi. Negli Anni Trenta sono gli emigrati tedeschi a pronunciarsi, da Manès Sperber a Waldemar Gurian, il professore ebreo convertito al cattolicesimo che Furet cita lungamente,' e che per primo ha parlato di «bolscevismo bruno», e di comune offensiva ni¬ chilistica contro il liberalismo europeo. Dopo la guerra è Hannah Arendt a riformulare, per i due sistemi, il concetto di totalitarismo forgiato da Mussolini. Negli Anni 70 verrà il turno di filosofi come André Glucksmann, che paragonano comunismo e nazismo dopo aver letto, sconvolti, l'Arcipelago di Solzenicyn. Se in Italia tutti questi risvegli sono in larga misura mancati, è perché la contrapposizione spesso apparente fra comunismo e fascismo è stata sostituita da quella - niente affatto apparente - che ha opposto fascismo e antifascismo. E' accaduto così che il fascismo e il nazionalsocialismo siano stati studiati con gli occhiali dell'antifascismo, il che vuol dire, generalmente, con gli occhiali comunisti, impedendo analisi approfondite sulla natura del ventesimo secolo. Furet dice che son questi occhiali intimidatori ad aver «impedito, soprattutto in Italia, che il concetto di totalitarismo avesse diritto di cittadinanza. Il concetto è stato igno¬ rato, anzi proibito, nel Paese dove la parola era nata». Dice ancora Furet che i due avversari si odiano non solo per quello che li separa, ma in primo luogo per quel che li avvicina, li apparenta. Che hanno bisogno l'uno dell'altro, si nutrono l'uno dell'ideologia e della pratica dell'altro, per meglio combattersi in una guerra totale e meglio strappare il consenso dei fedeli e delle masse sedotte, e poi schiacciate. Ambedue i movimenti si rafforzano in effetti grazie all'esistenza speculare dell'altro: il comunismo veste stabilmente l'abito dell'antifascismo, per distinguersi in maniera chiara da fascismo e nazionalsocialismo. Il fascismo e il nazionalsocialismo vestono l'abito anticomunista, e in tale maniera acquistano la patente di difensori dell'Occidente. La realtà tuttavia è diversa da quella che raccontarono a se stessi i due totalitarismi: nella realtà l'antifascismo e l'anticomunismo sono stati i vestiti nobili che si diedero due movimenti nati con visioni e passioni somiglianti. Sono due passioni nate secondo Furet da una comune esperienza fondatrice, il ' 14-18: è nella guerra che fanno irruzione le masse, con le loro aspirazioni egualitarie, democratizzate, e rivoluzionarie. E' allora che divampa l'odio democratico della democrazia, contro l'individualismo borghese e le gerarchie capitaliste. Che ci si rifugia nella fratellanza di una razza, di una nazione, o di una classe: di un Uomo Rigenerato, comunque. Fascismo e comunismo sono figli della democrazia: figli mostruosi, ma pur sempre figli. E' in nome di una democrazia più autentica, è in nome di un Popolo unificato integralisticamente, che ambedue distruggono la democrazia, e i popoli. Il fascismo non è solo una controrivoluzione: è rivoluzione anch'esso, ha una sua specifica passione dell'avvenire messianico. E' per questo che fa impressione, quando Mario Bernardi Guardi invita sul Secolo d'Italia a trasformare il 25 aprile in una Festa. E a ripensare quel che unisce le due grandi «passioni»: una comune «virile affermazione del coraggio e della coerenza». Questa passionalità rivoluzionaria, questo culto della forza, vengono contrapposti al consenso liberaldemocratico, descritto come «una cosa uggiosa e melmosa», «molliccia e melensa». Le due passioni non furono tuttavia grandi, come insegnano le resistenze antifasciste, e anticomuniste. Furono passioni che prepararono Auschwitz, i Gulag, e milioni di morti. Se solo si commemorasse quel che conviene commemorare - la duplice resistenza al fascismo come al comunismo - la parola Festa apparirebbe quel che è: sfacciata. In altri Paesi d'Europa ci si guarda dall'usare questo vocàbolo pericoloso, e se in Italia lo si adopera disinvoltamente vuol dire che non basta seppellire il dilemma fascismo-comunismo, perché le passioni deviate della democrazia si spengano una volta per tutte. Barbara Spinelli

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