Per un Dio senza potere
Bonhoeffer ricordato a Trento Bonhoeffer ricordato a Trento Per un Dio senza potere BRIGIONIERO Bonhoeffer, venite con noi!». Due SS in borghese si presentano sulla porta di una scuola trasformata in prigione nella foresta bavarese. E' la Domenica in Albis, l'8 aprile 1945. Bonhoeffer, su sollecitazione dei suoi compagni di prigionia, ha appena terminato una liturgia di preghiere. Ha commentato il passo di Isaia: «Per le sue lividure, noi abbiamo avuto la guarigione». Guarda i due uomini sulla porta. Da due anni, viene trasportato su dei camion da un lager all'altro. Ora è giunto al termine del suo viaggio. Dice sottovoce: «E' la fine. Per me è l'inizio della vita». Lo portano a Flossenburg, il campo di sterminio. Lo impiccano il giorno dopo, all'alba. A cinquantanni esatti dalla sua esecuzione, Dietrich Bonhoeffer, il teologo della «Chiesa confessante» tedesca, viene ricordato in questi giorni in un convegno dalla Università di Studi di Trento, apertosi ieri sera con una prolusione di Bruno Forte: «Bonhoeffer fra teologia della crisi e crisi della teologia». La figura di Bonhoeffer si è imposta ormai non solo come teologo, ma come uomo di cultura che esce dall'accademia e si fa esempio e maestro di assunzione di responsabilità nella «resistenza» aU'«edificio» della barbarie: «Accendere l'incendio della verità a tutti gli angoli dell'orgoglioso edificio, perché un giorno tutto l'edificio crolli». Bonhoeffer non è stato come il pensatore rimproverato da Kierkegaard, che usa costruire una ben connessa dimora teoretica, per poi abitare in una squallida stamberga. Sarebbe presunzione delineare nel breve spazio di un articolo il profilo teologico e spirituale di Bonhoeffer. Basterà ricordare l'aspetto forse più pubblicizzato del suo pensiero: l'inquietante interrogativo che egli si è posto sul senso del cristianesimo in un mondo che, per risolvere i suoi problemi, fa a meno dell'ipotesi di Dio, un mondo che non è più «religioso». Può sussistere il cristianesimo «senza religione»? Secondo il deportato nel lager nazista, immerso nelle sue meditazioni profetiche, in attesa di una liberazione che non verrà, la risposta è positiva: l'as¬ senza di Dio (il Dio della religione istituzionalizzata e della metafisica, il Dio «tappabuchi» dei nostri vuoti di conoscenza e di potenza) va proclamata in nome di Dio stesso, il Dio di Gesù, il Dio che, dalla Croce della sua impotenza, annuncia e testimonia l'amore senza confini che rispetta e fermenta l'età adulta del mondo. Nella «religione», in quella che si identifica tradizionalmente in ogni culto che si rende a Dio, secondo Bonhoeffer si ha una concezione trionfalistica di Dio: potente lui e impotente il mondo. Nel cristianesimo, invece, si esprime la teologia della Croce, dove Dio si presenta come impotente e lascia all'uomo tutta la sua potenza. Per questo, il cristianesimo ha senso in un mondo adulto, mentre non ha senso la «religione». Per questo, il cristianesimo non è «religione». In un testo poetico, scritto in carcere nel luglio del 1944, Bonhoeffer spiega così il suo concetto: «Gli uomini vanno a Dio nella loro miseria / e chiedono soccorso, felicità e pane, / chiedono di essere salvati dalle malattie,!...) dalla morte. / Tutti fanno così, tutti, cristiani e pagani. Alcuni uomini vanno a Dio nella sua miseria, / lo trovano povero e deriso, senza casa e senza pane, / lo vedono schiacciato sotto il peccato, la debolezza, la morte. /1 cristiani sono con Dio nella sua Passione. Dio va a tutti gli uomini nella loro miseria. /(...)/ Per i cristiani e i pagani, Dio soffre la morte della Croce / e il suo perdono è per tutti, cristiani e pagani». E' con questa visione teologica che Bonhoeffer ha voluto partecipare al destino di Dio, alla dolorosa «esistenza per gli altri», propria di Cristo, consapevole che questa partecipazione era il massimo che si potesse concedere al mondo; ha partecipato al tragico destino della sua patria, operando, come Cristo, una «sostituzione», assumendo sulle proprie spalle il peso degli errori e delle sofferenze altrui. E' per questo che, da quell'alba del 1945, riemerge ancora, affasci nante, una delle più alte figure morali che ci abbia donato l'Europa in questo secolo. Domenico Del Rio
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