nel nome di giangiacomo

Giugno '55: si brinda ai primi libri. Che cosa è cambiato da allora? Inge racconta Giugno '55: si brinda ai primi libri. Che cosa è cambiato da allora? Inge racconta «Non esiste più una sinistra italiana. Noi siamo radicali, liberal, anticipiamo i tempi e le mode» nel home di Giangiacomo MANDELA AL PICCOLO — Una lettura di Strehler f*\ MILANO f 1 IRÒ, giro. Giro sempre». I E' il motto di Inge FeltriI ¥ nelli. Un valzer vorticoso M I e turbolento fra i quattro angoli del mondo e le «sue» trenta librerie sparse per l'Italia, veri polmoni per la casa editrice con i suoi 150 miliardi di fatturato in questo '95. Anno che coincide con i quarant'anni della Casa di via Andegari. «E' nata nel giugno del '55. Brindarono in un bar di via Manzoni Giangiacomo e tre redattori. Avevano le prime copie de II flagello della svastica di Lord Russell e l'Autobiografia di Nehru. Oggi pubblichiamo le Memorie di Mandela. C'è continuità, no?». La Inge è in Italia dal '60 e il suo italiano è rimasto colorito e impreciso come quello di una continua infanzia o una eterna difesa. Lei dice che la colpa è di Giangiacomo che le parlava sempre in tedesco. Casa e casa editrice sono sullo stesso pianerottolo nel palazzo di sempre dei Feltrinelli, riconquistato pazientemente per ospitare Fondazione e uffici, fino all'antica cappella di famiglia, dove la signora Cristina tiene «religiosamente» l'archivio di questi quarant'anni di titoli e volti che un catalogo storico testimonierà, prima della Fiera di Francoforte. L'ufficio della Inge è un po' il Santuario della Feltrinelli, un intreccio fra casa e casa editrice, il riassunto fra vita privata e vita di lavoro. Le foto di Giangiacomo, di Castro, del Che, dei tanti editori amici, da Gallimard a Bourgois, Strauss, Suhrkamp, Einaudi, «l'unico che venne ai funerali di Giangiacomo. Per questo gli perdono tutte le sue arie di sufficienza nei nostri riguardi», alla gigantografia con lampadine di Rowolth, l'editore tedesco che spinse la Inge sulla strada del fotoreportage e all'incontro con Feltrinelli. «Tanti grandi editori, tanti super-padri che non hanno avuto fiducia nei figli. Deve essere difficile per un figlio continuare l'impresa del padre. L'editoria non è un'industria come le altre. Roger Strauss ha dovuto vendere, il figlio voleva fare il fotografo. Suhrkamp ha sbattuto fuori il figlio. Rowolth si è salvato con un figlio illegittimo, riconosciuto quando aveva quarant'anni e già da molto, anonimamente, lavorava in casa editrice. Carlo Feltrinelli credo che abbia delle possibilità. E' entrato in casa editrice con umiltà, Franco Occhetto gli ha insegnato molto. Lui vuol imparare e ha una grande discrezione. Mi è piaciuto quando ha detto, poco tempo fa, che comprerebbe volentieri, da Mondadori, l'Einaudi e che la prima cosa che farebbe è di cambiarne la grafica, che è la migliore in Italia. Un'idea, no?». Via vai fra i corridoi luminosi della casa editrice. Il Presidente, la Inge, che chiede dati e cifre al telefono. Dice: «Altri cifri belli». La casa editrice ha un fatturato annuo di 50 miliardi. Ha una quota di mercato che arriva al 6,5. E' la seconda, dopo la Mondadori, neDa vendita dei tascabili. Un prezzo medio a titolo di 17 mila lire. Vende il 10 per cento di titoli nelle sue librerie. Nel catalogo ha oltre 4 mila titoli. Lavorano con la Feltrinelli 335 persone che a fine anno saliranno a 400. Ci sono librerie, quella di Largo Argentina a Roma, che fatturano 15 miliardi all'anno. «Cifri belli, no?», dice la Inge. E ricorda gli anni bui fra la fine dei Settanta e gli inizi Ottanta: il «caso Leone», il libro della Cederna, che vendette 600 mila co- MILANO. Domani, al Piccolo Teatro di Milano, Giorgio Strehler leggerà brani di Nelson Mandela, le cui Memorie sonò appena state pubblicate da Feltrinelli. La cerimonia prenderà il via alle 17, e inaugura le manifestazioni per il cinquantesimo anniversario della Liberazione, che culmineranno il 25 aprile. Insieme con Franca Nuti e Lino Troisi, Strehler leggerà poesie di Mandela, Montale, Saba, Quasimodo, Eluard, Rimbaud e altri. La cerimonia si aprirà con la scoperta di una lapide, presso il Piccolo, in via Rovello, che ricorda come la sede del teatro fosse, durante la guerra, base della squadracela fascista Ettore Muti. A Strehler il sindaco di Milano Formentini consegnerà il premio di fedeltà alla Resistenza. pie ma procurò un sequestro patrimoniale sui beni Feltrinelli e 600 milioni di danni. «Più grave - ricorda la Inge - è che stava scomparendo il pubblico di sinistra, la società stava rapidamente mutando. Ci vuole un anno per fare un libro, quando l'avevamo pronto non sapevamo più a chi venderlo». Franco Occhetto fu uno degli artefici della «rinascita». Tagliò e ridusse collane, rifece la grafica. Il nuovo marchio Feltrinelli è diventato un gadget di prestigio. E' una F che una volta si dava solo ai direttori di libreria, oggi chi lavora in Feltrinelli, dopo qualche mese dall'assunzione, la vuole all'occhiello. Anche Carlo e Inge la esibiscono. C'è un forte senso di appartenenza, di identità. «Essere feltrinelliani». Questo legame profondo continua ad esistere nel nome di Giangiacomo, dice la Inge. «In questo Paese si è parlato troppo male di lui. E questa rabbia ci ha tenuti in vita. Non solo chi gli era vicino, ma chi è venuto dopo, chi non l'ha mai visto. Ci si pone il problema se ciò che facciamo, pubblichiamo, avrebbe la sua approvazione. L'hanno continuato a denigrare: miliardario sinistrorso, visionario, infantile. cora la maggiore età ed è noto che la madre tentò di evitare in tutti i modi che il figlio "comunista" diventasse l'erede di quel patrimonio. Per me Feltrinelli era un compagno generoso e pieno di slanci. Quando da Sesto mi spostai a Milano per dirigere il settore stampa e propaganda del partito, trovai in Giangiacomo, che nel frattempo era entrato in possesso della sua eredità, un compagno ancora più appassionato. Nonché particolarmente stimato dall'allora segretario del pei milanese, Giuseppe Alberganti». E la leggenda del Feltrinelli divorato dai sensi di colpa, rampollo di una famiglia Io mi ricordo a metà degli Anni Sessanta, quando mi parlava di Gladio e della situazione curda, era ossessionato. Aveva intuito e, certo, molte informazioni internazionali. Sì, è vero, aveva poi un lato allegro. Mi ricordo certe colazioni in casa Agnelli. Suggeriva a Gianni Agnelli di comprarsi un'isola lontana perché sindacati e movimento operaio avrebbero fatto la rivoluzione. E Agnelli faceva portare in tavola delle complicate uova in camicia che se non sapevi mangiarle ti schizzavano il tuorlo ovunque». Nel «nome di Giangiacomo Feltrinelli», ma l'editore, morto drammaticamente e misteriosamente su di un traliccio dell'alta tensione, a Segrate, era il '72, già da tempo aveva lasciato, per i suoi sogni eversivi, la casa editrice di via Andegari. Com'è possibile una fedeltà così tenace? La Inge ricorda che era il '69 «quando abbandonò via Andegari. Ma continuava a seguire la casa editrice. Si faceva vivo da ogni angolo del mondo. Telefonava, chiedeva, suggeriva, mandava avanti progetti. E' stato qui per vent'anni. Manca da ventitré. La casa editrice è rimasta scomoda, imprevedibile, moderna. come è stata con lui, credo, come avrebbe voluto fosse. La linea è sua, quella di un'editoria totale, con la distribuzione, le librerie. Lui veniva dalle cooperative del libro popolare. E' presente la memoria di Giangiacomo. Non c'è il mito». E forse con un po' meno anima di casa editrice di sinistra. O no? «C'è stato un mutamento in tutto il mondo. Come non esiste più una sinistra nel mondo così non esiste più una sinistra italiana. Noi siamo radicali, liberal, facciamo cose prima che diventino onda, moda. Se invece vogliamo usare il termine "sini-