SOPRAVVIVERE ALL'INFERNO di F. For.
SOPRAVVIVERE ALL'INFERNO « Così si vince il deserto » Gli esperti: bisogna fare come i nomadi SOPRAVVIVERE ALL'INFERNO LADDIS ABEBA A guida dell'Africa Orientale Italiana, pubblicata nel 1938, è ancor oggi una delle poche fonti autorevoli sulla Dancalia, una delle zone più ostili del mondo, dove sono stati rapiti i turisti italiani. L'esploratore che per primo ha affrontato la traversata di quella depressione, così la descrive: «La marcia nella piana infuocata si fa un po' più faticosa. In mezzo a conchiglie e altri avanzi marini, si hanno sabbie che formano dune alte sino a 60 metri. Appaiono anche coni vulcanici, nello sfondo si vedono fumare i coni degli Erte Ale; altre montagne lontane chiudono l'orizzonte verso il ciglione dell'altopiano eritreo». E prosegue: «Si discende ai pozzi salmastri di Ada Lela, presso il lago di Afredà o Giulietti, a metri 140 sotto il mare. La vista del plumbeo, tristissimo specchio d'acqua salmastra, circondata dal nero dei basalti, è imponente». In questo inferno i nostri nove connazionali, sei uomini e tre donne, hanno trascorso quindici giorni, prigionieri dei Damboida, una tribù guerriera degli Afar. Come si può sopravvivere in questo deserto che gli stessi nomadi affrontano con cautela? Secondo i medici, mentre por gli Afar è sufficiente un bicchier d'acqua al giorno per restare in vita e sono abituati a nutrirsi con una manciata di riso o di ceri, abituati in caso di necessità a cibarsi anche di scorpioni e serpenti, un europeo per far fronte alla disidratazione (la temperatura si aggira sempre sui 50 gradi, sovente raggiunge i 75) deve bere almeno due litri d'acqua al giorno. E per evitare infezioni intestinali, l'acqua dev'essere filtrata. La dieta dev'essere bilanciata per assicurare un'ade¬ guata assunzione giornaliera di zuccheri e vitamine. Dice il dott. Giampaolo Marolla, anestesistarianimatore, uno dei medici inviati dalla società assicuratrice Elvia di Milano per assistere i nostri connazionali: «Quando si affronta un viaggio del genere, bisogna per prima cosa essere fisicamente a posto. Il pericolo più grave è quello della disidratazione, per questo bisogna anche essere vestiti in maniera opportuna. Contrariamente a quello che si crede, gli abiti pesanti e scuri sono i più indicati: i nomadi, infatti, indossano dei mantelli perché proteggono dai raggi solari, diminuiscono la traspirazione c riducono la perdita d'acqua. E' bene portare della frutta in scatola perché contiene una componente di zuccheri e vitamine e anche idrica. I fagioli sono molto indicati perché hanno molte proteine e sono un effica¬ ce sostituto della carne. Naturalmente questo tipo di alimentazione, per soggetti non avvezzi a vivere in questi climi, non deve protrarsi per molti giorni». Ma il pericolo più grande è sempre quello della disidratazione, che porta a uno stato confusionale e alla morte per collasso cardiocircolatorio. Il centro della Dancalia è poverissimo d'acqua, vi sono rari pozzi, profondi quattro o cinque metri, ma l'acqua è salmastra, pochissimi sono quelli in cui si può trovare dell'acqua limpida e buona. Soltanto i nomadi sanno trovarli, un europeo rischierebbe di morire di sete in poco tempo. I nove turisti hanno vissuto con i loro rapitori per due settimane, nutrendosi.di, riso e pompdori, be^vendo l'acqua dei pozzi, dormendo per terra, sulla sabbia. Erano allenati e ne sono usciti senza danni. [f. for.]
Persone citate: Ada Lela, Giampaolo Marolla, Giulietti
Luoghi citati: Africa Orientale Italiana, Milano
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