Addis Abeba la polizia «sequestra» gli italiani di Francesco Fornari

i nove turisti trattenuti «per indagini» nella capitale i nove turisti trattenuti «per indagini» nella capitale Addis Abeba, la polizia «sequestra» ali italiaai ADDIS ABEBA DAL NOSTRO INVIATO Pochi minuti prima di mezzogiorno un elicottero delle forze armate etiopiche si è posato sulla pista dell'aeroporto militare alla periferia della capitale: quando le pale del rotore si sono fermate, dal velivolo sono usciti i nostri nove connazionali rapiti il 21 marzo nella depressione dancala mentre tentavano di attraversare il deserto di sale, una delle lande più desolate della Terra. Ma quello che doveva essere l'ultimo atto della loro odissea si è rivelato, invece, un nuovo capitolo di questa storia infinita il cui epilogo sembra rinviato almeno di 24 ore. Non sono più prigionieri degli Afar Damboida che li avevano sequestrati ma non sono ancora liberi. Ufficialmente risultano «trattenuti» dalle autorità etiopiche per collaborare alle indagini in corso per far luce sulla loro disavventura e non possono avere contatti con altre persone. Soltanto l'energico intervento del nostro ambasciatore Melani, che li attendeva all'aeroporto col medico della nostra legazione, ha consentito a Luciana Ciboldi, moglie del capogruppo Claudio Pozzati, di abbracciare il marito e di scambiare alcune parole con lui e con i suoi compagni. Un incontro rapido, poi sono stati fatti salire su un pulmino che li ha portati in una residenza del ministero degli Interni etiopico. Forse l'ospedale militare o il circolo ufficiali. Neppure i tre medici inviati dalla Elvia, la società presso la quale avevano stipulato un'assicurazione, hanno potuto avvicinarli. I tre medici, giunti ieri mattina dall'Italia, non sono neppure stati avvertiti del loro arrivo: li stavano aspettando all'aeroporto civile quando sono stati informati che erano già nella capitale, «ospiti» delle autorità locali. Perché questa procedura perlomeno insolita? Secondo l'ambasciatore si tratta di una formalità, devono essere interrogati per chiarire i particolari del loro sequestro: nessuno sinora è a conoscenza di come si sono svolti realmente i fatti e soltanto loro pos- sono fornire particolari utili alle indagini. Appare strano, però, che per questo debbano essere trattenuti ancora per una giornata, se non più. Si tratta, forse, di un fermo di polizia perché sospettati di qualche reato? Le accuse che potrebbero essere mosse nei loro confronti sono diverse: ingresso clandestino in Etiopia, assenza di visto, mancata dichiarazione della valuta, transito in zone in cui 6 richiesto, oltre il visto, l'autorizzazione delle amministrazioni locali. Ma l'ambasciatore esclude che si tratti di un fermo e ribadi¬ sce che sono trattenuti per collaborare alle indagini. Non sono ancora liberi, dunque, ma stanno bene. Il dott. Dario Mariani, medico dell'ambasciata, li ha trovati in buone condizioni fisiche, dimagriti, ma senza malanni. Luciana Ciboldi ha parlato per una decina di minuti col marito. Come l'ha trovato? «Bene, in ottima forma. Ha perso almeno dieci chili, ma era di buon umore come sempre. Anche gli altri stanno bene: erano preoccupati per i loro familiari, mi hanno pregata di informarli subito che non hanno subito violenze». Come sono stati trattati? «Benissimo, gli Afar erano molto gentili, non sono stati derubati, hanno preso soltanto i loro coltelli multiuso. Hanno potuto fare addirittura delle fotografie, non si sono mai sentiti in pericolo». Al momento dell'arresto avevano con loro molte provviste «che hanno diviso con i nomadi. Non hanno mai patito la fame, li hanno nutriti con riso e pomodoro, bevevano acqua filtrata. Sono tutti dimagriti, ma in compenso sono molto abbronzati. La loro più grande preoccupazione era di non poter informare le famiglie». Quando sono stati liberati hanno trascorso due giorni con i militari «ma non sono stati interrogati. Per questo Claudio mi ha detto di avere pazienza perché sapeva che dovevano essere interrogati dalla polizia e che bisognava rassegnarsi ancora a un'attesa». Durante questi giorni lei ha mai avuto paura? «Sì, appena sono arrivata all'Asinara e ho saputo che erano prigionieri degli Afar ho temuto per la loro vita. Sapevo che i nomadi sono aggressivi, temevo che li avessero derubati e abbandonati senza viveri e acqua nel deserto». Permetterà ancora a suo marito avventure così rischiose? «Certamente: quest'estate abbiamo programmato un viaggio in Amazzonia, Non ci rinunceremo* questa volta non l'ho accompagnato perché sapevo di non essere m .grado di agjrontarei disagi dj una traversata nel deserto é non volevo essere di peso». Francesco Fornari Segregati non si sa dove, la nostra ambasciata assicura «Stanno bene» Rossana Ceruti, una delle turiste e a destra un villaggio in Dancalia

Persone citate: Claudio Pozzati, Dario Mariani, Durante, Luciana Ciboldi, Melani, Rossana Ceruti

Luoghi citati: Addis Abeba, Etiopia, Italia