VARGAS LLOSA RITORNA DALLA POLITICA ALLE ANDE

VARGAS LLOSA RITORNA DALLA POLITICA ALLE ANDE VARGAS LLOSA RITORNA DALLA POLITICA ALLE ANDE // nuovo romanzo: quasi un giallo tra riti e magie Perù persino nel racconto di una poetica storia d'amore. Opponendo, nell'incontro dei personaggi del suo presepe, la saldezza greca del mito antico alla tenebrosa e terrorifica mitologia indigena. E facendoci così incontrare l'orgiastico oste Dionisio (Dioniso), la sua compagna Adriana (Arianna), femmina di piacere e bieche stregonerie, tratta dalle grinfie di un diavolo dimorante in miniera (Il Labirinto) da parte di Timoteo (Teseo) e da lui sposata prima che cadesse nelle braccia di Dionisio a Naccos (Naxos). Bentornato, scnor Llosa: cinque anni di silenzio sono tanti... «Non è che sia stato poi così zitto: ho fatto politica. In modo professionale. Correndo per il mio Paese. Passando dalla teoria ai fatti. Viaggiando, vedendo, parlando. E, MLONDRA ARIO Vargas Uosa torna al romanzo dopo cinque anni. E ci torna in questo modo: «Quando vide apparire l'india sulla soglia della capanna, Lituma indovinò quel che la donna avrebbe detto. E lei lo disse, ma in quechua, biascicando e lasciando colare un filo di saliva dagli angoli della bocca senza denti». Ecco: inizia così II caporale Lituma sulle Ande (Rizzoli, pp. 285, L. 32.000), in libreria mercoledì prossimo. Comincia con una denuncia: la scomparsa di un uomo, il terzo in poco tempo. Poche righe, una rapidissima mezza pagina di odori e sensazioni, e già si respira l'aria rarefatta e misteriosa della Cordigliera, della montagna fredda e spietata con i suoi fantasmi dal volto di donna raggrinziti dalle nebbie e dalle povertà. Occhi rassegnati, febbrili, visi col marchio del dolore e dell'impotenza, succubi di destini che non cambieranno mai, pedine di una vita che appartiene sempre ad altri. Lunghe trecce nere, guance grigie, tristi, a cui nemmeno i colori sgargianti dei ponchos e dei chullos tirati fin sulle orecchie sanno dare luce. Fantasmi di donne con fantasmi di mariti. Indio d'altura. Flagellati dall'ignoranza di una cultura troppo antica per essere compresa, sopravvissuta come un lichene tra gli stenti delle rocce. Fatta di magia, di spiriti e di diavoli. Riti dei deboli. Dei perseguitati. Dei vinti di qualsiasi mondo. Abbarbicati e travolti da rivoluzioni proletarie violente, disumane. Pensate nei caldi salotti maoisti di pianura e però combattute da sudate braccia da soma contadina, tese alla conquista di un Sendero luminoso qualsiasi che le affranchi dalla bestialità. La storia in sé è semplice: Lituma, caporale di mare e di civiltà hispanica, è il capo del presidio della Guardia civil in uno sperduto villaggio andino. Divide il suo misero posto di polizia - una baracca col tetto di latta perennemente spazzata dalla pioggia, due brande e un armadio con qualche arma antiquata - col poliziotto Tomàs Carreno. Gli uomini scomparsi sono ormai tre: rapiti? Uccisi? Arruolati dai terroristi? Nessuno lo sa. Ma non si può più stare con le mani in mano, preda della pigrizia e dell'omertà. Bisogna indagare davvero. Anche perché il Sendero è sempre più vicino. E minaccia tutti, in primo luogo loro due, innocenti simboli delle istituzioni e del potere lontano. se prima avevo una visione delle cose, ora ne ho un'altra. Più completa. La sconfitta mi ha concesso di ritornare al mio unico mestiere più maturo, più forte, più conscio». Per questo ha preso Lituma, personaggio laterale di altri suoi romanzi, e l'ha promosso a protagonista? Fujmori ha fatto crescere anche lui? «Forse sì. In modo inconscio però. •Prima il mio caporale era un essere senza grandezza. Possedeva solo una specie di naturale intimità con la giustizia e l'ingiustizia. Un piccolo istinto che sonnecchiava pigro. E che aveva bisogno di una sorta di trauma per sbocciare. L'ho avuto io e l'ha avuto lui. Siamo entrambi uomini di mare. Di quel Perù "civile" che prospera sulla costa, che parla castigliano. La politica mi ha portato nel Perù dei nidi d'aquila. Nel Perù rapace. Ha fatto cozzare la mia cultura con quella andina, primitiva, isolata. Mi ha fatto precipitare in un universo di indios dove la sfiducia, la violenza, il terrorismo e la repressione si intersecano con le credenze, i riti, le religioni e le superstizioni. Così ho trasferito anche Lituma lassù per un'investigazione totale, etica». Alla ricerca del «sonderò»... «Non facciamo confusioni: Sendero luminoso è fondamentalismo islamico, è quel tratto di fanatismo onnipresente in ogni società che si ciba di forza e violenza. E che spesso ammalia gli intellettuali perché, loro più di altri, subiscono il fascino dell'apocalisse e della distruzione messianica. E' successo anche a me da giovane. La realtà però è orribile. E le cose - purtroppo - le capisci poi dai libri di storia». Per questo è diventato di destra? «Alt: io voglio libertà politica ed economica, voglio individualismo, voglio riforme ma all'interno della legge. Sono percorso da quella vena ribalda di anarchismo che mi fa amare il singolo se si batte contro le catene dello Stato. Lei questo come lo chiama? Per me vuol dire una cosa sola: essere liberal. Oggi destra e sinistra sono categorie inesistenti. La caduta dell'utopia socialista le ha debellate. Sono etichette artificiali che non esistono più nella realtà: il crollo del Muro di Berlino ha mandato in confusione tutte le teorie. La questione ormai è: politica come tecnica, amarai e machiavellica, o come istituto morali Etica o praxil Tutto qui: io non ho dubbi sulla scelta. E' la stessa di Lituma». Già, ma ponendo un misero caporale di fronte a deliri orgiastici o a tentazioni di cannibalismo, in effetti al poveretto lascia ben poche scelte morali. «Sbaglia: io lo metto soltanto di fronte all'uomo. La pellicola di civiltà che lo avvolge è così sottile, così tenue che serve solo a mascherare vagamente la belva feroce che c'è in lui. Rifletta sul Burundi, il Ruanda, Sarajevo, la Cecenia. Come non vedere immediatamente la bestialità, il protervo mangiatore di carne umana. C'è un'unica difesa contro la nostra barbarie: la cultura». Lei ha preso la cittadinanza spagnola: fuga dalla barbarie? «No. Io sono cittadino del mondo. Viaggio sempre. Ho casa a Londra, in America. Non mi fermo mai. Lavoro sette giorni su sette. Per sei sui libri, la domenica sui giornali. Perché è fondamentale avere sempre un pie ne la calle, un piede in strada, là dove succedono le cose. Per il resto? Teatro e cinema: al contrario dei libri - se uno è brutto lo lascio - mi basta un western. E la famiglia: Patricia, una moglie, grande compagna da trent'anni; due maschi Alvaro e Consalo; una femmina, Morgana; e una nipote, Josephina. Perché, lo sa? Mario Vargas Llosa da quattro giorni è nonno. E questo potrebbe cambiarmi ancor più della politica». «Il mio caporale Lituma è cambialo con me: ha scoperto che l'uomo è un cannibale e mangia il suo simile dal Ruanda alla Bosnia* ba«NdeprAmmsula Peavla dacoe delo wPagrtreAlfeunPega Llosa inizia così il suo viaggio in un'umanità randagia, quasi selvaggia nella sua liturgia di credenze ancestrali, con fermate in campi e miniere, in bettole frequentate solo dalla disperazione. Un'indagine lenta, dolorosa, che, prima dei colpevoli, scopre in fondo le colpe del

Persone citate: Ario Vargas, Carreno, Llosa, Mario Vargas Llosa, Morgana, Vargas Llosa