QUEL CHE RESTA del '900 di Oreste Del Buono

o* Romanzi Anni Ottanta: 12 milioni di eco [di Oreste del buono] bergonzoni, una vita in ascensore [di Gabriele romagnoli] o* oblò': a Bologna la fiera dei o* Romanzi Anni Ottanta: 12 milioni di eco [di Oreste del buono] bergonzoni, una vita in ascensore [di Gabriele romagnoli] o* oblò': a Bologna la fiera dei / cr 1 QUEL CHE RESTA ragazzi [DI fer Testimoni e documenti per un bilancio di fine secolo al Salone di Torino André Chic: «Gomballtwa al/a luce del sole con se .stesso, con Dio con le. /Missioni» Dino ( 'am/xina: «L'emblema dei poeti italiani» nome per me importante: Miguel de Unamuno, uno dei padri dell'esistenzialismo, uno scrittore esiliato da Primo de Rivera, sopportato dalla Repubblica, malvisto da Franco. La vita coincide per lui con l'atto dell'angoscia e della domanda perpetua, la sua opera è fatta di gridi di disperazione e di dolore. Sostiene non la forza ma la coscienza. «L'immagine più bella di Unamuno è l'immagine del poeta che dopo aver passato la giornata coi giovani dell'Università di Salamanca discutendo e giocando con paradossi profondi, arrivata la notte si sedeva nel suo studio e si faceva le domande più assillanti e drammatiche. Morì maledicendo la guerra mentre udiva il passo dei tedeschi nella strada. Gli è venuto un accidente dalla rabbia. Ricordo oggi il suo diario poetico e la ricerca di una bellezza pensata e scolpita, il suo amore per il Leopardi della Ginestra e la sua genta] dinando ALBERTAZZ1 E luciano bestsellers 1 £ grandi svolte della letteratura: a colloquio con Bo e ai traffici letterari. Ecco perché io e molti altri giovani d'allora siamo andati a scuola della rivista di cui lui era il primo suggeritore. La nouvelle revue francaise. Tutto questo è stato portato via dal vento della guerra e dall'avvento delle ideologie. Ecco Sartre, il mio quarto nome, l'anti-Gide. «Sartre l'ho studiato come fenomeno, come macchina prodigiosa di suggestioni, suggerimenti, imposizioni. Al contrario di Gide non aveva dubbi: cambiava posizione; i dubbi li aveva prima di ogni cambiamento. Gran parte dei suoi romanzi sono illeggibili. L'ho recensito fra i primi: preferisco i racconti degli inizi, la Nausea, dove il personaggio Roquentin si limita a galleggiare sul mare della nausea. Sartre ha una visione del mondo pratica, suscettibile di essere realizzata. Mette le idee prima delle passioni ma è un passionale: il contrario di Camus, sempre vigile, legato al dubbio. E' il mio quinto autore. Ho amato Lo straniero, il romanzo del divorzio fra l'uomo e le cose, come disse Sartre. E ho amato i suoi saggi, il suo auspicio di una nuova vi sione dell'umanità dopo la tragedia della guerra, di un Franz Kafka Nel titolo: Carlo Bo Agonia del cristianesimo, dove agonia è frazione attiva di morte, lotta eterna, confronto tra parola e silenzio. Rileggo i suoi piccoli versi e mi percuote ancora, mi sento denudato, sono dentro di lui, parla anche per me. Questo credere che anche noi possiamo sbagliare, che nella storia degli uomini c'è sempre un'incognita, una X che non dipende da noi e che è il frutto della lenta costruzione di una filosofia superiore... «L'importanza di Unamuno, di Gide, era qui, nel fatto che si opponevano alle certezze, alle violenze, a una vita quotidiana e pubblica vissuta con fede inerte, negativa. Pensiamo al clima di quegli anni, a quel sospetto e quell'odio. Pensiamo alla fuga degli ebrei, al loro sterminio, al rogo dei libri in Germania. "Quando sento parlare di cultura, tiro fuori la rivoltella", disse il generale Ueipo de Llano, e non si sa se è lui che inventa questa battuta o la riprende da Goebbels. E il generale Pétain trovò che fra le ragioni della sconfitta francese c'erano scrittori come Gide. «E' Gide il mio terzo autore. Combatteva alla luce del sole con se stesso, con Dio, con le passioni; Bernanos combatteva nelle tenebre. Ha contato molto, per me, Bernanos. Come Mauriac. Gide era un bravo fabbro della sua figura e della sua fama, ma nel suo Journal a tratti butta l'abito curiale e mette in discussione se stesso. "Non seguitemi, combattetemi", ha scrìtto: ha chiesto di esercitare la critica. Non va dimenticato. Mi ha insegnato l'amore della vita, l'impossibilità della salvezza senza il coraggio della confessione. Può sembrare un'ingenuità da parte mia schierarmi dalla sua parte, ma mi resta la sua fede nella letteratura, il suo costante negarsi alle mode Franz Kafka Nel titolo: Carlo Bo «La mia generazione tra Cide e Kafka, Sartre e Campana» giochi SJSSiSKii'i: : . '.' mondo senza più né vittime né carnefici, di un cristianesimo senza Cristo. Mi ha dato una grande sensazione di moralità, l'insegnamento del doversi guardare dentro. «La m Hamorfosi mi impressionò. In Kafka si accentrano tutti i grandi temi della letteratura: la solitudine, Dio, la giustizia, la paura, l'uomo che vive nel deserto, l'uomo che si trasforma in animale braccato e umiliato dalla società, il terrore degli altri uomini. Kafka entra nella storia delle mie letture come chi ha riproposto la grande lezione dell'800, a cominciare da Dostoevskij. E' un trattato sull'uomo nel nostro tempo, un profeta. «L'ultimo autore è l'emblema dei poeti italiani: Dino Campana, portato via dalla chimera ai confini della follia, poesia che si fa balbettamento e incespicamento, scomposizione del mondo (mentre in Kafka c'è la decomposizione): poeta che cerca, sempre sul punto di cogliere il vero assoluto e che ricade subito dopo nell'impotenza e nel silenzio totale della mente. «Sono questi i miei sette testimoni del '900. Cinque nomi che ho fatto non sono italiani: la formazione europea è un vanto della mia generazione, rinforzato dal fatto che negli Anni 30 tutto ciò che suonava europeo era guardato da noi con diffidenza». C'è qualcosa che accomuna i suoi scrittori? «Sono contro la violenza e le compiacenze letterarie. Sono scrittori del dubbio: una tensione che c'è stata e non c'è più. Interrogano Dio... La mia stessa fede è portata al dubbio, mi sento legato dentro una rete di dubbi, in un tempo che sembra godere di certezze e sicurezza per quanto riguarda la fede: sono un credente bloccato. Ho una fede senza spirito di carità, la fede del pessimista. E con l'invecchiare, con l'approssimarsi della morte, aumenta la percezione del peccato, lo scetticismo, l'impotenza, l'ormai. Non ho fatto quello che avrei potuto fare. Ho peccato di disperazione, ho ceduto all'accidia, al dire che tutto è inutile. Dovrei saper pregare. Mi abbandono nella fiducia del perdono: parole che oggi non hanno più senso». Come le appare il secolo che finisce? «Fatto di fallimenti, macerie, presunzioni, un gran deserto in cui si sente qualche volta l'eco della poesia... Per il secolo sceglierei una lapide: Perdono. Per me, Pulvis et nihil, polvere e nulla: l'ho letta nella cattedrale di Toledo. Oppure, Pietà». Claudio Altarocca

Luoghi citati: Bologna, Germania, Toledo, Torino