«Per cantare sfido la morte»

lì Rushdie della musica torna a Algeri Idolo rock del Maghreb contro la «fatwa» degli integralisti i « Per cantare sfido la morte » lì Rushdie della musica torna a Algeri UNA VOCE CONTRO I KILLER SE Salmari Rushdie decidesse di abbandonare la vita de! topo per volare a Teheran e fare due passi in centro, la cosa potrebbe avere solo due significati: o un tentativo di farla finita oppure la prova che nell'integralismo islamico qualcosa sta cambiando. Il «Rushdie della musica» sta per fare qualcosa di simile: toma in Algeria. Però, con obiettivi diversi. Meno di un anno fa Lounès Matoub. star di quello straordinario genere di rock maghrebino che si chiama «rai» fu sequestrato nel villaggio di Tizi Ouzou da un commando di integralisti dei Già, i Gruppi islamici armati. Era il 25 settembre, doveva essere ucciso. Negli stessi giorni a Orano un altro divo del rai, Cheb Hasmi, veniva cancellato dai mitra sulla soglia di casa. «Sei un "taghout", un miscredente: anziché pregare fai musica», gli dicevano carcerieri giovanissimi e lerci. «Devi morire». E invece Matoub non mori. Nella sua terra d'origine, la Cabilia, migliaia di persone erano scese in piazza per reclamare la sua liberazione. Questo spinse i carcerieri a lasciarlo andare dopo quindici giorni di prigionia, con la promessa che il menestrello non avrebbe cantato più. Riparato in Francia, Matoub invece ha ripreso a cantare, e a riempire gli stadi a ogni concerto. Rispetto a un anno fa (quando «Le Monde» lo chiamava «il martire vivente» e a Parigi lui incontrava il Dalai Lama, riceveva l'abbraccio di Danielle Mitter- randi porta una barbetta e un ciuffo «rasta» in più. Per tre giorni sarà a Roma, dove domani prenderà parte alla «Marcia deile Palme» organizzata contro la pena di morte dal partito radicale e dal gruppo «Nessuno tocchi Caino». Chi meglio di lui, che alia condanna a morte è scampato? Il ritorno in Algeria, dicevamo. «Nell'88, durante la rivolta del pane, a spararmi furono i gendarmi. Una raffica di kalashnikov: porto cir.que pallottolre ancora in corpo, in consegueza di quella ferita ho una gamba più corta dell'altra. Poi, l'anno scorso, il rapimento da parte degli integralisti e la loro "fatwa". la condanna a morte. «Mi chiede, allora, perché mai progetto di tornare in Algeria? Perché fra pochi giorni la mia gente celebrerà il quindicesimo anniversmrio della "Primavera Berbera", in ricordo di altre sollevazioni e altro sangue, quello che fu fatto scorrere nel 1980. E i berberi oggi costituiscono uno degli ultimi bastioni contro la doppia dittatura che sta cercando di annullare il mio Paese: Quella del governo e quella dell'integralismo islamico». Racconta, il menestrello ferito, di quello che ha lasciato in Cabilia, della madre che non ha mai voluto abbandonare i suoi luoghi, degli amici perduti. «Nell'Algeria di questi ultimi anni, si è fatta strada una realtà che da lontano è difficile percepire. Una quotidianità fatta di corpi sventrati o decapitati: esci di casa e li vedi, li trovi su! marciapiede. Sono li, al mattino, proprio per ammonirti: taci, non alzare la testa, imponi a tua moglie il velo, dimentica qualsiasi legame con quello che nel resto del mondo si chiama cultura». «Sì, la cultura. Io ho trentotto anni, appartengo a quella generazione che in Algeria ha avuto la fortuna di assimilare un'educazione francese. Ho fatto però in tempo anche a cogliere, alla fine degli Anni 60, i primi segni del deterioramento, i prodromi di quell'islamizzazione strisciante e codina voluta da Boumedienne. Scuole occupate progressivamente da insegnanti egiziani, l'Islam che cominciava ad affac¬ ciarsi alle anticamere dello Stato mentre una serie di governi fantoccio continuava a occuparsi solo della gestione del potere». Strano destino, quello di un menestrello preso a raffiche dalla nomenklatura, condannato a morte dagli oppositori islamici e costretto a tramutarsi in simbolo di una «terza via». Una terza via, dice Matoub, che in Algeria - anzi, soprattutto nella sua Cabilia continua a esistere, a resistere, e l'Occidente si ostina a non vedere. A questa Europa, pronta a trattare con integralisti di ogni genere Idai «barbus» del Fis a quelli che alzano le tre dita nel segno del trionfo serbo) eppure cosi distratta quando si tratterebbe di misurarsi con minoranze, queste sì, europee, almeno in senso culturale. A quest'Europa ii «Rushdie della musica- ha qualcosa da dire. «In Cabilia. in Algeria, esiste una minoranza solida, decisa, in grado di uscire dalla tenaglia che rischia di stritolarci. Un nucleo che disprezza in egual misura i gestori del potere e quei giovani integralisti che io vedo come una generazione di mutanti. Li ho conosciuti, in quindici giorni e sedici notti di prigionia, ho parlato con loro fino ad esaurirmi. Sono ragazzi, spesso giovanissimi, che non amano la vita. Non si lavano, non si cambiano, considerano la musica una deviazione dal cammino di Dio, aspettano la morte come la prima notte di nozze. La religiosità non è, non può essere questa. Né l'Occidente può far finta di non accorgersi che l'internazionale integralista continua a infiltrarsi li dove i diritti dell'uomo sono maggiormente riconosciuti, al solo scopo di poterli poi negare». Così parlò il menestrello, prima di allontanarsi con una gamba zoppicante e le spalle gravate da una condanna a morte. «Vuol sapere se al ritomo in Algeria mi potranno ammazzare? Penso di si. e non è che la cosa mi sia indifferente: ma se dovessero far secco me, che almeno il futura di questo Paese dia qualche spiraglio di liberta ai miei figli)). Giuseppe Zaccaria Matoub: «Gli ultra mi hanno rapito e imposto il silenzio pena la vita in quanto "blasfemo" Ma io non mi piego» .,. ^^^^ , ^^^^ j^^fe,^^ ^ ^ '^^^^^ Lounes Matoub nel recente incontro a Pangt con il Dalai Lama