Depositata la sentenza di secondo grado sulle tangenti Intermetro: «Non ci sono prove contro gli uomini Fiat» Prosciolti Romiti e Mattioli

Depositata la sentenza di secondo grado sulle tangenti Intermetro: «Non ci sono prove contro gli uomini Fiat» Depositata la sentenza di secondo grado sulle tangenti Intermetro: «Non ci sono prove contro gli uomini Fiat» Prosciolti Romiti e Mattioli La Corte d'appello rigetta ricorso delpm ROMA. Anche por i giudici della Corte d'appello, l'amministratore delegato della Fiat. Cesare Romiti non deve essere processato per la vicenda delle tangenti Intermetro, le «mazzette» pagate per la realizzazione della metropolitana di Roma. Con Romiti, sono stati prosciolti dai giudici della quarta sezione della Corte d'appello che ha rigettato il ricorso del pubblico ministero, il direttore finanziario della Fiat, Francesco Paolo Mattioli, l'ingegner Umberto Belliazzi, all'epoca responsabile della Fiat di Roma, e l'ex ministro delio Darida. In una sentenza di 58 pagine depositata l'altro ieri, i giudici di secondo grado hanno risposto punto per punto alle contestazioni del pubblico ministero Francesco Misiuni che s'era opposto alle decisioni del gip del luglio scorso, il quale aveva già prosciolto i tre dirigenti Fiat e l'ex ministro. Secondo la Corte d'appello, il fatto che alcune società controllate dalla Fiat, come la la Fiat-Impresit e la Cogefar-Impresit, abbiano partecipato al consorzio Intermetro, «non può diventare di per se stesso, ove il quadro probatorio non sia sorretto da altri precisi e concordanti elementi, la chiave di lettura (e di accusa) di quelli che il pm chiama sbrigativamente gli "uomini Fiat", nello scoperto tentativo di coinvolgere gli attuali imputati in un quadro articolato di elementi che di probatorio e di preciso hanno ben poco». L'episodio per cui Romiti, Mattioli e Belliazzi erano stati chiamati in causa, riguardava una tangente di 3 miliardi e 230 milioni, della quale l'amministratore delegato della Fiat ha sempre negato di essere a conoscenza. E si inseriva nella vicenda delle tangenti Intermetro, nella quale sono stati coinvolti decine di imputati (tra cui l'ex segretario del psi Craxi, l'ex presidente dell'Iri Nobili, l'ex segretario amministrativo della de romana Moschetti), alcuni dei quali patteggiarono la pena, mentre altri furono rinviati a giudizio. Al pm che voleva anche il rinvio a giudizio dei dirigenti Fiat e di Darida (negato dal gip), la Corte d'appello ha risposto affermando che «l'ampia autonomia amministrativa delle varie società del gruppo (Fiat, ndr) portava ad una autonomia decisionale al riguardo» e che «il Legislatore ha escluso a carice degli amministratori della società controllante un obbligo di interferenza e censura sui bilanci delle società controllate»; in particolare, non avendo né Romiti né Mattioli alcun incarico di gestione nelle società coinvolte, i giudici hanno deciso che non si può contestare loro il reato di falso in bilancio. Per quanto riguarda la circostanza nella quale Belliazzi avrebbe riferito a Romiti le lamentele di Darida circa la necessità di rispettare i patti sui soldi da pagare ai partiti in cambio del- la concessione degli appalti, la Corte ha negato la «giuridica valenza» di quell'episodio, rilevando che «il Belliazzi non si rivolgeva a Romiti per ottenere istruzioni o autorizzazioni» a versare le «mazzette». Inoltre, hanno scritto i magistrati, l'ex amministratore delegato della Fiat-Impresit Antonio Mosconi «si era mosso in modo autonomo dal Romiti, senza contattare in alcun modo quest'ultimo prima di prendere la sua decisione» di pagare l'«emissario» degli uomini politici. Mosconi aveva anche affermato di aver accennato a Mattioli il problema delle tangenti sugli appalti, ma su questo punto la Corte d'appello ha ritenuto che il direttore finanziario della Fiat «veniva informato solo di una situazione generale relativa ad una realtà ambientale dominata da un diffu¬ so sistema di estorsioni da cui era difficile sottrarsi con grave danno alle aziende». In sostanza, per i giudici di secondo grado Mattioli non è colpevole di corruzione bensì vittima di una concussione. L'avvocato Vittorio Chiusano, difensore di Romiti e Mattioli, ha commentato la sentenza dichiarandosi «soddisfatto del risultato ma soprattutto della motivazione che, fra l'altro, ha risolto importanti questioni giuridiche attinenti l'ambito delle responsabilità degli amministratori delle società per azioni nei rapporti intercorrenti tra società controllanti e società controllate». «Da sempre - prosegue l'avvocato Chiusano - ho sostenuto l'inconsistenza delle accuse rivolte a Romiti e Mattioli, come ora ha riconfermato la Corte d'Appello». [gio. bia.] «Non sono direttamente responsabili per l'attività di aziende consociate» A sinistra: l'amministratore delegato della Fiat Cesare Romiti

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