Sos dalla «Britannica» Rischiamo di affondare di Fabio Galvano

Nel 700, alla donna dedicava una riga: femminile di uomo IL C A S O. La grande istituzione culturale in crisi finanziaria dopo due secoli di gloria Sos dalla «Britannica» Rischiamo di affondare LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La crisi è cominciata quattro anni fa. Qualcuno dice che, a provocarla, sia stata una naturale riluttanza di fronte ai nuovi orizzonti dell'informatica, al passaggio dalla carta stampata all'elettronica. Secondo altri si/ tratta di un naturale invec-^ chiamento. Resta il fatto che dopo due secoli gloriosi l'Enciclopedia Britannica scopre improvvisamente di non essere più né amata né venduta. Dopo quattro anni senza dividendi lancia dalla sua sede di Chicago, per salvarsi, un drammatico «Mayday» transatlantico. Per ora nessuno ha risposto; ed è difficile dire, in un mondo editoriale dove i libri contabili fanno ormai da bilancia, se e quando l'appello sarà raccolto. Intanto, nonostante un tardivo sbocco nel vulcanico panorama del Cd-rom, la Britannica langue. E' un destino che forse nessuno prevedeva. Da sempre l'ambiziosa enciclopedia, monumento del sapere, offre ogni risposta a studenti e accademici, oltre a rappresentare, con i suoi 32 ponderosi volumi, un eccellente status-symbol sugli scaffali di molte case. Il mondo è cambiato, l'enciclopedia non è più il mito di ogni famiglia, il tam-tam dei media ha soppiantato quell'immediata ancora di cultura e di sapere. Fa tenerezza sfogliare la ristampa anastatica - è di pochi anni fa - della prima edizione, i tre volumi pubblicati in Scozia fra il 1768 e il 1771, a dispense, da una «società di gentiluomini» guidata dallo stampatore William Smellie, futuro segretario della Società degli Antiquari, che con gli amici Andrew Bell e Colin MacFarquhar aveva avuto l'idea di quel «Dizionario delle Arti e delle Scienze». La prima Britannica, nata sull'esempio della stupenda Encyclopedie di Diderot e che una volta completata costava 12 sterline, descriveva il Giappone come «una piccola isola al largo della costa della California», dedicava soltanto cinque righe alla Cina e appena una - davvero altri tempi - alla voce «Donna»: «Femminile di Uomo». Anche se da quasi un secolo la Britannica è in realtà un'Americana, i suoi tremiti fanno vibrare anche le corde delle sue origini europee. Il mondo della cultura e dell'editoria non sono spiritualmente sordi all'appello del suo presidente Peter Norton. «Abbiamo bisogno di capitale e siamo fiduciosi di potercelo assicurare», egli ha detto. «Nostro obiettivo è di conservare quest'istituzione e di continuare a sviluppare nuovi prodotti esplorando anche canali alternativi di vendita». Ma soltanto l'anno scorso la Britannica si è piegata al Cd (costa in Inghilterra quasi un milione e 700 mila lire, contro i due milioni e 600 mila dell'edizione stampata) e all'immenso mercato di Internet, disponibile per abbonamento come Britannica Online. Un terso comunicato ammette che «le tecnologie e l'era dell'informatica hanno radicalmente trasformato il nostro panorama e richiederanno da parte nostra una significativa transizione dal nostro passato storico». Buona fortuna, replica Kenneth Kister, editore di una «Guida alle migliori enciclopedie» il cui nome già rimbalza dalla Florida sulle reti informatiche e sulle pagine dei giornali inglesi: «Come è mai possibile vendere a qualcuno un'enciclopedia che costa cifre considerevoli quando altre sono disponibili su dischetto per un pugno di dollari, o addirittura fanno parte del pacchetto di software offerto con l'acquisto di un nuovo computer?». La tecnica della vendita por- ta a porta, che aveva fatto la fortuna della Britannica, è cosa d'altri tempi. Il sapere trattato come un aspirapolvere non attrae più: molto meglio - forse è meno impegnativo - sfiorarlo sullo schermo di un computer. Oggi il mondo non ha più posto per decine di chili di carta con 44 milioni di parole e 23 mila illustrazioni; e gli ultimi utili nel bilancio 1990 (25 milioni di sterline, su un fatturato di 410) fanno ormai parte di quella che è la storia della Britannica. Una storia che rimarrà, qualunque sia la sorte che la rivoluzione telematica riserverà a un'opera passata indenne attraverso altre due rivoluzioni (quella francese e quella americana) e che in un decennio dalla nascita - ormai in dieci volumi con l'aggiunta di storia e biografie - avrebbe conosciuto un successo incontrastato nelle isole britanniche. In cento anni, alla nona edizione, sarebbe diventata la più imponente del suo genere, rivaleggiata soltanto dal Lexikon tedesco. Dopo essere passata fra varie mani, fra cui l'università di Cambridge, la Britannica diventò americana - anche se fino al 1987 mantenne un ufficio editoriale a Londra accanto a quello commerciale - nel 1901, quando la lucrosa azienda fu acquistata da Horace Everett Cooper. Passò poi (1920) alla Sears Roebuck, quindi (1943) al senatore William Benton e attraverso lui rimase strettamente legata all'università di Chicago. E' la Fondazione Benton, oggi, che se ne occupa, che nel 1974 l'ha radicalmente trasformata, forse sbagliando: la quindicesima edizione, da allora aggiornata ogni anno, è in realtà tre enciclopedie in una una «guida» in un volume, un corpo principale in 19, una «micropedia» in 10 volumi per la consultazione rapida - e non ha incontrato il favore del pubblico. Cd-rom e Internet hanno fatto il resto. Fabio Galvano / ^ Nf THE ENCYCLOR/EDIA BRITANNICA FOURTEENTH EDITION A NEW SURVEY OF UNIVERSAL KN OWLEDGE Inventata in Scozia sul modello degli illuministi francesi Uno status-symbol in tutto il mondo: non è più amato come un tempo e non produce utili Il frontespizio dell'Enciclopedia Britannica. La prima edizione, in tre volumi, apparve in Scozia fra il 1768 e il 1771, a dispense, da una «società di gentiluomini» guidata dallo stampatore William Smellie Nel 700, alla donna dedicava una riga: femminile di uomo

Persone citate: Andrew Bell, Colin Macfarquhar, Diderot, Horace Everett Cooper, Kenneth Kister, Peter Norton, Sears, William Benton, William Smellie