Liberi gli italiani il giallo resta
Sono in buone condizioni fisiche L'ambasciata esclude che sia stato chiesto o pagato alcun riscatto Consegnati alle autorità etiopiche dai sequestratori Afar, ma nessuno è riuscito a vederli Liberi gli italiani, il giallo resta e g aa,gaoDopo 16giorni di prigionia in Dancalia ADDIS ABEBA DAL NOSTRO INVIATO Liberi, finalmente. Dopo 16 giorni trascorsi nell'inferno della depressione dancala, per i nostri 9 connazionali rapiti il 20 marzo da un gruppo di Afar della tribù Damboida l'incubo è finito ieri mattina, quando sono stati «consegnati» ai militari etiopici che li stanno scortando verso Makallè, il capoluogo del Tigrai, a oltre duemila metri, dove erano attesi nel pomeriggio. Ma alle 20 di ieri non erano ancora arrivati. Dove si trovano? Forse in un villaggio sull'altopiano, ma nessuno lo sa con precisione. Così come poco o niente si sa sulla loro prigionia e sulle modalità del rilascio: un'inspiegabile cortina di silenzio è stata stesa su tutta l'operazione dalle autorità etiopiche e dalla nostra ambasciata. Soltanto in serata, mentre la notizia della liberazione circolava ormai da ore, l'ambasciatore Melani l'ha confermata ai giornalisti, limitandosi a dire che i nostri connazionali «sono in mani etiopiche», che nessuno li aveva ancora visti ma che «da quello che sappiamo stanno bene» e che oggi dovrebbero arrivare ad Addis Abeba. Nessun particolare è stato fornito sul luogo in cui sono stati liberati, un punto imprecisato nella zona del lago Afrera, dove il 25 maggio 1881 l'esploratore Giulietti e 13 marinai italiani furono massacrati da una banda di Afar. Su un particolare, invece, l'ambasciatore è stato categorico: per il loro rilascio non è stato pagato alcun riscatto, anzi, ha precisato che di riscatto in tutta questa storia non si è mai parlato, non ne è mai stata fatta richiesta. Perché sono stati rapiti allora? Fin dall'inizio l'ipotesi più realistica era che i turisti stessero passando senza averne avuto il permesso nella zona controllata dai Damboida: è consuetudine in Dancalia patteggiare il transito con le varie tribù e pagare un pedaggio; ma forse i nostri connazionali seguivano un itinerario che non prevedeva di passare in quella zona, dove sarebbero «sconfinati» per errore. Scoperti e catturati perché entrati «illegalmente», era prevedibile che per la loro liberazione i Damboida avrebbero preteso un pagamento. Ma se questa richiesta non è mai stata fatta, perché sono stati rapiti? Su questo punto l'ambasciatore è irremovibile, se c'è stata una contropartita non si è trattato di denaro o altro, forse di «benevolenza». Da parte di chi? Probabilmente da parte delle autorità etiopiche, che però non hanno mai partecipato direttamente alle trattative (affidate ai notabili Afar), ma che le hanno seguite e pilotate con molta attenzione. I Damboida, nomadi che non riconoscono l'autorità del governo di Addis Abeba, potrebbero essere stati convinti a liberare gli ostaggi con la promessa che non sarebbe stata attuata nessuna forma di ritorsione contro di loro. E' certo che la mediazione, che sarebbe stata condotta da uno dei dieci sultani che controllano la depressione dancala, è stata lunga e difficile. Forse sono sopravvenuti altri fatti, di natura politica, che hanno convinto i notabili Afar a far pressioni sui rapitori perché rilasciassero gli italiani rinunciando alle loro pretese di riscatto. Se è stato concesso qualcosa, si tratta di accordi, di favori, di quella «benevolenza» cui ha accennato l'ambasciatore Melani. I nostri connazionali potrebbero essere stati «utilizzati» come merce di scambio in una disputa tra i sultanati e il governo centrale. Tutta l'operazione è avvolta nel segreto, e anche il ritardato annuncio della liberazione, così come il mancato arrivo dei turisti a Makallè, rientrano in questa strategia. E' stato fatto di tutto perché i giornalisti non potessero entrare in contatto con qli ostaggi; era previsto un comunicato congiunto del governo etiopico e dell'ambasciata italiana che però non è mai stato redatto, perché la fuga di notizie da parte Afar - fin dalle prime ore di ieri mattina circolava la voce della liberazione - ha fatto precipitare i tempi. Una cosa è certa: i nostri connazionali sono liberi, e la lunga prigionia nel deserto di sale non dovrebbe averli troppo provati. Quando sono stati rapiti, avevano molte provviste, compresi 600 litri di acqua potabile che gli hanno consentito di affrontare la permanenza in quell'inferno sen- za troppi disagi. Con loro c'era una guida etiopica, ma nessuno sembra in grado di dire se sia stata liberata o se sia ancora prigioniera. Oggi i 9 italiani dovrebbero arrivare ad Addis Abeba, dove saranno interrogati dalle autorità etiopiche perché sono entrati illegalmente in Etiopia passando il confine dall'Eritrea a un posto di frontiera non autorizzato. Per questo potrebbero subire un provvedimento di espulsione. Domani, forse, rientreranno in Italia con un volo di linea. Il ministro degli Esteri italiano Susanna Agnelli ha espresso alle autorità etiopiche il più vivo rallegramento del governo italiano e il suo personale per la disponibilità dimostrata nell'awiare le ricerche dei nostri connazionali. Analoghi ringraziamenti sono stati fatti al governo eritreo. Francesco Fornarì ERITREA SUDAN LUOGO DOVE SONO STATI LIBERATI ADDIS ABEBA (g) ^ ETIOPIA HHHHHH fc Kb m Sono in buone condizioni fisiche L'ambasciata esclude che sia stato chiesto o pagato alcun riscatto A sinistra due dei nove italiani rapiti e liberati ieri Qui a fianco capanne Afar nel deserto della Dancalia
Persone citate: Giulietti, Melani, Susanna Agnelli
Luoghi citati: Addis Abeba, Eritrea, Etiopia, Italia
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