Cerciello: Di Pietro ha voluto colpirmi

«Il pool voleva che un imputato facesse il nome di Berlusconi» Il generale attacca in aula, ma un tenente della Finanza: anche tu hai preso soldi Cerciello: Di Pietro ha voluto colpirmi BRESCIA DAL NOSTRO INVIATO Aspettava questo momento dall'8 luglio scorso, manette, veleni e carriera stroncata. Aspettava di dire la sua (contro i giudici di Mani pulite) il generale Giuseppe Cerciello, ex comandante del nucleo regionale di Milano delle Fiamme gialle, accuse a valanga per quelle (presunte) mazzette. E adesso che può finalmente parlare al processo che lo vede imputato sfodera gli artigli: «Evidentemente qualcuno ha voluto che si tirasse in ballo il mio nome». Qualcuno chi?, chiede un avvocato. «Il dottor Di Pietro, è per fare un cognome», spiega il generale, davanti al Tribunale da tre ore. Ascolta e non commenta il pubblico ministero Fabio Salamone. Poi al termine dell'udienza dice ai giornalisti: «Questo interrogatorio contiene notizie di reato. 0 c'è una calunnia o c'è un abuso da parte di qualcuno. Ci vuole un minimo di indagine». Cerciello non si ferma: «Nel carcere di Peschiera del Garda ho appreso che i magistrati del pool di Milano volevano far dire al maresciallo Nanocchio il nome di Silvio Berlusconi». Chi siano quei magistrati Cerciello non lo dice. Spara nel mucchio, e forse è la sua vendetta. Ancora: «Sono rimasto in isola-, mento per otto mesi. E Tanca, e Stolfo, e Giovannelli (suoi accusatori, ndr) vanno a dire in giro: "Ecco, il generale se l'è voluta lui, l'ha cercata lui quella accusa. Se non avesse mandato via certe persone non sarebbe successo nulla..."». E invece è successo che una sera d'estate sono scattate le manette, che gli ordini di custodia sono grandinati, corruzione, decine di episodi, centinaia di milioni. E' successo anche che - tra 500 persone finite sotto inchiesta per le mazzette sulle verifiche fiscali - il generale Cerciello sia stato l'unico a dire «no» a Di Pietro. E adesso gli presenta il conto. Non sembrano nemmeno accuse quelle che lancia il generale con quell'aria di dire e non voler dire, con le mani che si tormentano mentre per quattro ore di fila risponde alle domande del magistrato. E poi ancora a quelle del suo avvocato, degli altri difensori, del presidente del Tribunale Roberto Pallini che cerca di mettere ordine in questo processo, 48 finanzieri imputati e nemmeno un'indagine qui a Brescia, tutto eredità di Milano. Dice il generale: «Mi sono fatto otto mesi di carcere. Cerco la verità». Commenta il presidente Pallini: «Noi ci accontentiamo della verità processuale». Ribatte Cerciello: «Io vorrei anche capire». Se non fosse per quelle mani (e per quelle accuse) non si direbbe che quel signore abbronzato, con giacca blu e pantaloni grigi, la camicia azzurra e la cravatta in tinta si stia difendendo dall'accusa di aver gestito le Fiamme gialle di Milano come cosa sua, con rendiconti e tariffe: da ogni azienda un tanto, fino alle centinaia di milioni pur di chiudere un occhio sulle verifiche iiscali. «So.,0 entrato in Accademia nel '59, a 22 anni... Ero orgoglioso di andare a Milano... Poi sono diventato generale... Quanti sacrifici per la mia famig'^a...», e fa l'elenco di una vita. Fino al terremoto, i suoi uomini arrestati uno ad uno, poi i suicidi e le manette anche per lui. Mai una ammissione. Spiega: «Il pm mi disse che se ero colpevole per me chiedeva 10 e per gli altri uno. Ebbene io dico: chiedete anche 20...». Il generale racconta di un mercanteggiamento pur di otte¬ nere una confessione. E il nome di quel pm non lo fa. E' facile intuire chi sia, ma Cerciello si nasconde dietro alle parole: «Non dimenticate, c'è pure il rischio di una denuncia per calunnia». Il militare imputato numero uno non si piega nemmeno in quest'aula: «Ho fatto degli errori clamorosi nelle valutazioni delle persone, dei miei uomini. Io non avevo altri strumenti che la struttura e la gerarchia per controllarli. Ed ero seduto su una mina che poteva esplodere ad ogni momento...». Di quell'esplosione che l'ha portato in carcere Cerciello dà la sua spiegazione: «Esiste un documento anonimo attraverso il quale l'autorità giudiziaria di Milano si è fatta un'idea degli imbrogli. Anch'io sto cercando di capire come è andata la storia... E poi sento che i miei accusatori dicono in giro che se non avessi allontanato quei 5 sottufficiali che non mi davano garanzie tutto questo non sarebbe successo». Ma il tenente Stolfo non crede al complotto ai danni del suo (ex) generale. E ieri mattina ripete le sue accuse contro di lui: «Una sera a cena Cerciello mi disse: "Emilio, non mi dici tutta la verità. Non sei sincero. Non dirmi che non prendi soldi quando fai le verifiche. E a me non pensi? E io chi sono?"». Il generale conferma la cena, dice che adesso i suoi uomini li chiama solo signori, senza gradi, mostrine e onori. Conferma quell'incontro, ma non il dialogo e quei 10 milioni che Stolfo dice di avergli dato. Fino alla stoccata finale: «Stolfo era un uomo capace di lasciare il segno. E a me lo ha lasciato per la vita, lo Stolfo». Fabio Potetti «Il pool voleva che un imputato facesse il nome di Berlusconi» Il tenente della Guardia di finanza Emilio Stolfo grande accusatore di Cerciello

Luoghi citati: Brescia, Milano, Peschiera Del Garda