Regole alla stampa? Pericolose di Alberto PapuzziGiovanni Giovannini

Regole alla stampa? Pericolose Chiusa la rassegna «Professione Reporter» con un dibattito sulla «cronaca virtuale» Regole alla stampa? Pericolose Giovannino i media cambiano, i giornalisti sono fermi CODICI E INFORMAZIONE TORINO UALI regole per i giornalisti italiani? Di quali norme ha bisogno l'informazione? Con un convegno dedicato a questi interrogativi di estrema attualità «Quando la cronaca diventa virtuale» - si è conclusa la rassegna «Professione reporter», dieci giorni di proiezioni e dibattiti dedicati all'immagine del giornalismo nel cinema, organizzata da una dozzina di sponsor tra cui l'Ordine dei giornalisti e la Stampa subalpina. Ma che cosa significa cronaca virtuale? Ne ha fatto un divertente excursus il sociologo Carlo Marietti, dell'Università di Torino: dal premio Pulitzer per una storia inventata di sana pianta alle lacrime truccate di Castagna o ai quiz sospetti di Mike. Ecco perché servono delle regole. Quali? E come? «Diffido delle regole imposte alla stampa», ha detto André Laurens, garante dei lettori di Le Monde. «I giornalisti inglesi non hanno né leggi speciali né privilegi», ha spie- gaio Martin Kettel, uno degli editorialisti del Guardian, ospiti di una tavola rotonda insieme con Pasquale Chessa, vicedirettore di Panorama, e Paolo Guzzanti, inviato della Stampa. Ma la stampa transalpina e soprattutto anglosassone vantano una tradizione che funziona da anticorpo, ha ricordato Guzzanti, auspicando regole sì, ma elaborate e condivise dall'intera categoria, non imposte dall'alto. «Ma no! I giornali italiani sono migliori di quelli stranieri», per Chessa, il quale ha chiesto grandi regole per l'editoria dei giornali, non piccole regole per la casistica professionale. «La miglior legge su questo mestiere è la non legge», diceva d'altronde un giornalista di razza di 70 anni fa: Luigi Einaudi, citato da Giovanni Giovannini, presidente della Federazione editori, autore di un intervento sulle novità introdotte dalle tecnologie elettroniche. «Se c'è stato qualche caso di insider trading, questo va punito. Se all'interno degli Ordini locali vi sono comportamenti "mafiosi", che venga inserito un membro esterno, con funzioni di controllo», ha detto Giovannini. Però è ora «che i giornalisti escano dalle loro capanne Bantu». Non è un copyright il problema, «in confronto a quello che stanno diventando le banche dati e Internet». Perché ormai «sta succedendo qualcosa di allucinante nel mondo della comunicazione». Questo ritardo, sia politico sia legislativo, sulla rivoluzione tecnologica è stato denunciato anche dallo storico Nicola Tranfaglia, insieme a un limite strutturale della stampa del nostro Paese, fatta di imprese editoriali «che appartengono o sono collegate più o meno direttamente a gruppi industrialifinanziari operanti in altri settori di attività», con uno stretto legame tra giornali e potere politico, tra editori e classe politica, male endemico del giornalismo italiano. Infatti i giornalisti non sono soddisfatti, come dimostra un rapporto presentato dal Centro di ricerche sociali Iter: «Professione reporter: tra funzione sociale e finzione intellettuale». Il settanta per cento del campione intervistato è «profondamente deluso» o «adattato» e «ridimensionato». Vorrebbero rivalutare il ruolo civile e sociale della professione. Perché nel cuore c'è sempre la vecchia frase che Humphrey Bogart grida nel telefono ai politici corrotti: «E' la stampa, bellezza!». Alberto Papuzzi Giovanni Giovannini presidente della Federazione editori

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