«Elettra», miseri souvenir

«Elettra», miseri souvenir «Elettra», miseri souvenir Domani Scalfaro ripete un test di Marconi DOMANI, 30 marzo, il presidente della Repubblica ripeterà l'esperimento fatto nel 1930 da Guglielmo Marconi: con un impulso radio inviato dal porto di Genova a Sydney, azionerà le luci del municipio australiano. L'avvenimento sarà trasmesso in diretta su Raiuno, alle 11, durante «Linea Blu»: un evento-simbolo tra le manifestazioni per i cento anni della radio. Peccato che il segnale non possa essere irradiato da «Elettra», lo yacht-laboratorio sul quale dal 1919 al 1937 Marconi viaggiò da un capo all'altro del mondo. Di quel piccolo universo galleggiante oggi sono rimasti solo pezzi sparsi qua e là in giro per l'Italia, vittime di una decisione, forse unica nel suo genere, che tuttora, a ripensarci, fa venire la pelle d'oca: nel '77 il governo italiano ordinò di tagliare a pezzi la casa-laboratorio di Marconi e di disperderne i frammenti, come storici souvenir, tra gli enti che ne avessero fatto richiesta. I soldi per restaurare lo scafo non c'erano, e quindi bisognava procedere in altro modo. Il risultato dell'operazione si commenta da sé: al Fucino e a Pontecchio Sasso Marconi, dove ha sede la Fondazione intitolata allo scienziato italiano premio Nobel per la fisica nel 1909, i pezzi conservati sono diventati monumenti; ma, altrove, in un arsenale di Trieste ad esempio, la prua dello yacht, viene divorata dalla ruggine, gli imponenti alberi (sul Carso triestino) e gli oblò in bronzo (a Udine) aspettano da vent'anni che si decida sul da farsi. Da qualche mese, a puntare il dito sulla malastoria di «Elettra» e a cercare di dare un futuro un po' più dignitoso a suoi resti, il quotidiano triestino «Il Piccolo», con la Fondazione Marconi, sta chiamando all'appello enti pubblici e privati per far sì che la prua venga sottratta al degrado e che gli altri reperti sparsi nel Triveneto ven¬ aiJ gano raccolti al Museo del Mare di Trieste, dove già esiste una «sala marconiana» con pezzi originali di notevole interesse. Originariamente «Elettra» era un lussuoso panfilo da crociera, costruito nel 1904 dai cantieri Romage e Ferguson di Leith, in Inghilterra, su disegno degli architetti Cox e King di Londra, allora i due nomi più prestigiosi nel campo delle costruzioni navali. La commessa è dell'arciduca Carlo Stefano di Asburgo che battezza la nave con il nome di «Rowenska» (lo stesso della baia di Lussino, in Dalmazia, su cui si affacciava la villa degli Asburgo). Battendo bandiera imperiale l'arciduca naviga in lungo e in largo per il Mediterraneo fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Poco dopo, il panfilo viene requisito dalla marina austroungarica e trasformato in navevedetta. Per una serie di circostanze fortuite, «Elettra» passa indenne attraverso la guerra e nel 1918 viene confiscata dagli aiJM inglesi, che la mettono all'asta. Qui entra in scena Marconi: acquista lo scafo per 21 mila sterline e lo trasforma in una casa-laboratorio galleggiante con 632 tonnellate di stazza lorda, 67 metri di lunghezza, 30 uomini di equipaggio. Ogni cabina viene smaltata con un colore diverso, sui pavimenti si stendono tappeti preziosi, gli oblò scompaiono dietro le pieghe di ampi tendaggi, la sala da pranzo, arredata in perfetto stile inglese, sfoggia persino un caminetto, e nella biblioteca, in cui trovano posto centinaia di trattati scientifici, viene sistemato un pianoforte a coda. Lontano dalle «stanze mon¬ dane» Marconi arreda due locali per gli esperimenti: uno è lo studio vero e proprio, l'altro è uno stanzino segreto di cui solo lui possiede le chiavi. Nascono qui, a bordo di «Elettra», le prove di avvistamento di ostacoli a onde corte e ultracorte e il favoleggiato «raggio della morte». Alla scomparsa dello scienziato, nel '37, la famiglia si trasferisce sulla terraferma e per «Elettra» è l'inizio della fine. A Pegli, in Liguria, dove rimane per qualche anno, viene trasformata in battello per la vigilanza costiera ma nel giorno dell'armistizio, l'8 settembre '43, «Elettra» si trova vicino a Trieste; qui i tedeschi se ne im¬ padroniscono, e solo l'intervento tempestivo di due triestini consente di poitare in salvo i materiali scientifici conservati nella stiva. Da battello guardiacoste lo yacht di Marconi subisce un'altra trasformazione e diventa incrociatore ausiliario dei tedeschi. Nel gennaio del '44, però, un bombardiere inglese lo affonda presso Zara. Rimarrà sul fondo del mare per 18 anni, fino al '62 quando la Jugoslavia, dopo una trattativa tra i ministri Segni e Popovic, restituisce il relitto all'Italia. Trainato da due rimorchiatori, quel che resta di «Elettra» approda a Trieste nel '62, ma nei cantieri San