QUINZIO COME GIONA

QUINZIO COME GIONA QUINZIO COME GIONA Non si accontenta del castigo annunciato contesta Dio perché non manda la catastrofe ra alla riforma della Chiesa, sempre riproposta fin dal Medioevo ma mai realizzata? E' questa situazione, una vera aporia per il cristianesimo, che fa nascere - attraverso la stesura delle due encicliche - il tentativo disperato di mettere in luce il nucleo essenziale della fede, non per farlo risorgere, ma semplicemente per svelare che la Chiesa, essendo corpo di Cristo, come Cristo deve finire nell'infamia e nel fallimento della croce. Ma le encicliche «non sono accolte» perché nessuno vuole ammettere il fallimento storico del cristianesimo; a quel punto è Dio stesso che sancisce la fine: mentre Pietro II sale sulla cupola di San Pietro, proprio sopra la tomba del primo papa, Dio si ricorda di Babilonia la grande e ne decreta la fine: Pietro II precipita e un grande terremoto sconvolge la città e la Terra tutta. In questa premessa c'è molta nostalgia, come nel bellissimo romanzo di Sebastian Knecht (pseudonimo dell'illustre teologo contemporaneo E. Schlink) La visione del Papa, ma in Quinzio l'esito è la shoah, non la salvezza. Nella prima enciclica, Resurrectio mortuorum, Pietro II vorrebbe mettere in risalto ciò che si è affievolito: l'annuncio che liberazione non è se non dalla morte, e quindi che la re- preta il cristianesimo in modo giudaico o islamico» (Baget Bozzo), né che il suo pensiero non sia cristiano (Cesare Cavalieri): è uno scrittore per il quale il «già» è bestemmia, mentre il «non ancora» sta chiuso nel silenzio angosciante di Dio come una promessa capace solo di rinnovare delusione. Quinzio mi pare soprattutto voler affliggere i consolati, e questa è certamente un'azione urgente. Di diverso tenore e respiro è la seconda enciclica, Mysterium iniquitatis in cui «l'uomo iniquo, il figlio della perdizione» - cui allude Paolo nella seconda lettera ai Tessalonicesi è visto all'opera più che mai, presente in mezzo a noi. I suoi connotati sono innanzitutto giudaizzanti e per questo viene ravvisato essenzialmente in Giacomo, il fratello del Signore, il primo vescovo di Gerusalemme. Quale sarebbe la sua colpa? Essere un giudeo-cristiano e non un ellenista-cristiano come Paolo? Ma Paolo stesso rinnega forse la sua origine ebraica o la conferma e il «compimento» operati da Gesù nei confronti delle Leggi? Quinzio qui ci appare francamente poco convincente e anche ingiusto nei confronti dei giudeo-cristiani, il che ci meraviglia. Ma questo anticristo è poi ravvisato nella Chiesa romana, II mistero delMale in due encicliche immaginarie surrezione della carne è l'autentica speranza cristiana. Quinzio non è un esegeta e certamente il suo modo di leggere la resurrezione della carne con un'insistenza ossessiva, plastica, quasi fisiologica può lasciare perplessi, ma restano vere le parole di Solov'èv citate: «Noi cristiani abbiamo un unico appoggio: la resurrezione reale...». Ecco, non mi pare di poter affermare che Quinzio «inter¬ Angelo Panebianco Michele Salvati

Luoghi citati: Babilonia, Gerusalemme