Ancora nessun contatto con i sequestratori, si spera che chiedano solo un «pedaggio» Prigionieri nell'inferno della Dancalia

Ancora nessun contatto con i sequestratori, si spera che chiedano solo un «pedaggio» Ancora nessun contatto con i sequestratori, si spera che chiedano solo un «pedaggio» Prigionieri nell'inferno della Dancalia In Etiopia i nove italiani rapiti dai ribelli Afar ROMA. Il pagamento di un «pedaggio»: rimane questa l'ipotesi più accreditata dietro al sequestro di nove turisti italiani nella conca di Dancalia, al confine tra l'Etiopia e l'Eritrea. Ma fino a ieri nessun contatto era ancora stato stabilito con i presunti sequestratori, e i contorni della vicenda rimangono oscuri. Sembra ormai scontato, e questa è anche l'impressione dell'ambasciatore italiano all'Asinara, Claudio Bay Rossi, che gli italiani siano sotto il controllo di una banda di nomadi Afar che opera in territorio etiope e che i turisti non si trovino più in Eritrea, da dove erano partiti. Ad Addis Abeba, l'ambasciatore Maurizio Melani conferma che il governo etiope ha già mobilitato i capi clan dell'etnia Afar, gli unici che potrebbero condurre a buon termine una mediazione con i rapitori. «Per quello che ne sappiamo - aggiunge Melani - l'area del rapimento è controllata dal Fronte di liberazione Afar, la cui principale autorità è il sultano Ali Mirra, una persona responsabile. Il problema è che non tutti i gruppi della zona ne riconoscono l'autorità e potrebbero esserci piccole formazioni che agiscono per conto proprio. Noi ci auguria¬ mo che tutto si risolva con il pagamento di un pedaggio». Dell'ipotesi-pedaggio parla anche Giancarlo Falcetti, un ingegnere di Milano che era con i turisti italiani in Dancalia fino a pochi giorni fa: «Non credo che i miei compagni di viaggio stiano rischiando qualcosa di serio. Quelle non sono popolazioni ostili. I nomadi che abbiamo incontrato sul nostro cammino non ci hanno mai minacciato. Per farci passare chiedevano che fossimo accompagnati da loro uomini. E gli uomini bisognava pagarli. Siamo stati bloccati diverse volte, ma non ci hanno mai fatto del male. E' sempre stata una perdita di tempo: mettersi lì a discutere anche un paio di giorni per arrivare ad un accordo». E' stato Falcetti a dare l'allarme. Non aveva partecipato all'ultimo tratto della spedizione e aveva dato appuntamento ai suoi amici nella cittadina eritrea di Bada, vicina al confine con l'Etiopia, venerdì scorso. «Sabato mattina non li ho visti, sono uscito dal villaggio per vedere se riuscivo a trovare qualche notizia, e grazie all'autista che mi ha fatto da interprete ho saputo da un cammelliere che erano stati catturati». Sabato pomeriggio Falcetti è ripartito per Asmara senza aspettare i suoi amici perché temeva di perdere l'aereo per Roma, che partiva lunedì. E' arrivato nella capitale eritrea domenica nel primo pomeriggio e quella sera ha avvertito per telefono i familiari di alcuni membri della spedizione. Tra domenica e lunedì la moglie di uno dei capigruppo ha avvertito via fax il ministero dell'Interno, che ha provveduto a trasmettere l'informazione alla Farnesi¬ na. All'ambasciata di Asmara | la notizia del sequestro è dunque arrivata dall'Italia, dove la Farnesina aveva intanto attivato l'unità di crisi. A quel punto - era lunedì mattina - l'ambasciatore Bay Rossi ha cercato di mettersi in contatto con Falcetti prima che lasciasse Asmara: «Siamo andati a cercarlo in a" igo ma lui non c'era. E' passato in ambasciata quando noi non c'eravamo. Insomma, per una serie di disguidi siamo riusciti a raggiungerlo soltanto all'aeroporto, quando ormai stava partendo». A organizzare il viaggio è stata l'agenzia milanese «Gli argonauti». Un viaggio particolarmente duro: l'obiettivo era di camminare per circa 200 chilometri in mezzo al deserto con temperature che raggiungono i 45-50 gradi di giorno. «Si poteva viaggiare solo durante la notte o alle prime ore del mattino», racconta Falcetti. «La temperatura era così alta che trascorrevamo le giornate al riparo delle rocce. Si è poi deciso di andare in Dancalia (ancora più calda perché si trova in una depressione) allungando il viaggio di almeno un giorno. Ho preferito tornare indietro per non rischiare di saltare il rientro». Andrea di Robiiant Provengono dalla Lombardia e dal Veneto Avevano superato il confine su cammelli Mobilitati i capi clan per farli liberare Pierpaolo Arnoldi, 41 anni, libraio di Bergamo Giancarlo Falcetti, compagno di viaggio dei rapiti per sua fortuna è scampato alla cattura Alberto Locatelli, 54 anni, di Bergamo