E' cominciato a Verona il processo ai giovani che uccisero dal cavalcavia Tonini perdonate i killer del sasso

E' cominciato a Verona il processo ai giovani che uccisero dal cavalcavia E' cominciato a Verona il processo ai giovani che uccisero dal cavalcavia Tonini: perdonate i killer del sasso In aula il silenzio degli imputati La famiglia ha respinto il risarcimento VERONA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Rischiano l'ergastolo, ma dicono solo «non mi sottopongo» i tre lanciatori di sassi che la notte del 28 dicembre '93 centrarono l'Espace che viaggiava sull'Autobrennero, uccidendo Monica Zanotti, 25 anni. Non hanno accettato, ieri, di sottoporsi all'interrogatorio del pm Mario Giulio Schinaia davanti ai sei giudici popolari della Corte veronese. Ma, per loro, parlano le carte: Marco Moschini, 20 anni, falegname, avrebbe lanciato il sasso mortale; Riccardo Garbin, 20 anni, operaio - primo a confessare - sostiene che lui lanciava solo sassi piccoli per fare punteggio nella gara al tiro all'auto, perché sapeva che «un grosso sasso addosso ad una persona significa ammazzarla»; Davide Lugoboni, 19 anni, militare di leva allora, sostiene che al momento del lancio lui dormiva sulla «500» del Garbin. Divisi fino a ieri quando però si sono uniti in un generale silenzio, pesante come lo sono le accuse di omicidio volontario, doppio tentato omicidio (per altri due sassi lanciati contro un camion guidato da Antonino Dutto, di Cuneo, e contro un'auto di Siena) e attentato alla sicurezza stradale. Lo sguardo basso, offerto alle telecamere dell'aulastudio tv, convinti che più delle loro parole possa valere davanti ai giudici e, domani, davanti a milioni di telespettatori, la comprensione del cardinale Ersilio Tonini, chiamato dalla difesa del Garbin a parlare di pentimento e di perdono. Il tempo ha anche stemperato le posizioni della gente. Lo si è visto in aula, tra il pubblico, formato soprattutto da amici, parenti, anche della famiglia della vittima e del suo fidanzato Davide Perbellini. La rabbia è calata ed è aumentata la pietà per i tre ragazzi che potrebbero es¬ sere figli di chiunque. Questo deve aver pensato qualcuno, anche perché non hanno partecipato all'udienza i genitori della vittima. Avevano già respinto l'offerta di risarcimento di 200 milioni, non convinti che sia arrivato il momento del perdono. Potrebbe accettarla, invece, Davide Perbellini che ha deposto per primo in mattinata davanti agli impassibili colpevoli della morte della sua ragazza. Un flash su quei terribili istanti: il botto, il lunotto che esplode, Monica riserva sul sedile con il cranio fracassato. Davide potrebbe accettare per conto della «Fondazione Monica Zanotti», costituita per realizzare iniziative contro la violenza e per l'educazione dei giovani. Anche perché il folle lancio non è isolato. Fa parte di un'incoscienza generalizzata. Mentre la difesa tentava di dimostrare la «normalità» degli imputati, sono sfilati a testimoniare anche altri ragazzi. Ragazzi che hanno lanciato persino bombole vuote e segnali stradali da quel maledetto cavalcavia di Incaffi, ma sono stati fortunati a differenza dei tre che hanno distrutto un'esistenza e rovinato la propria. Come quella di Moschini che, a 20 anni era considerato già un leader. Lui, di sera, guidava il gruppo dei lanciatori e quella notte avrebbe lanciato oltre la barriera il sasso di 15 chili; ma lui pensava di affittare parte di un capannone per realizzare il suo sogno: fare il falegname. Invece è diventato un assassino. Rimanendo però un protagonista. Come quando ha scritto al cardinale Tonini e quando aH'«Awenire» scrive: «Non mi ritengo un killer, né un assassino e neppure James Dean». E poi, rivolgendosi ai suoi coetanei: «Smettetela di fare queste cose inutili». Il processo dovrebbe concludersi già oggi. Francesco Ruffo 7 Due degli imputati in aula e nella foto a destra il cardinale Ersilio Tonini

Luoghi citati: Cuneo, Siena, Verona