Maroni: «A Padova mi schiero col Polo»
Maroni: «A Padova mi schiero col Polo» Maroni: «A Padova mi schiero col Polo» MILANO. Le ultime parole famose, quelle del congresso leghista al Palatrussardi, erano state lapidarie: «Mi dimetterò. Da questo momento entro in frigorifero». Poi però, e sono passati meno di due mesi, non s'è mai visto un surgelato più vispo di Roberto Maroni, illeghista dissidente ancora arruolato tra i parlamentari di Umberto Bossi. Riesce a parlare, o a far parlare di sé, anche quando sta zitto. Come ieri mattina, quando l'aula si prepara a votare la sua richiesta di dimissioni da deputato e un fax arriva a Montecitorio. Lapidario pure questo, titolo: «Roberto Maroni per Giovanni Negri». Quando i deputati leghisti hanno saputo, chi gli è amico e passa le serate assieme come Giuseppe Bonomi non ci voleva credere: «Ma no!, sarà ima bufala. Negri a Padova è candidato con il Polo e la Lega appoggia il suo concorrente Saonara. Non è possibile, arriverà una smentita...». Passa tutto il pomeriggio, la Camera rinvia il voto sulle dimissioni di Maroni, Bonomi lo cerca, lo cerca pure il capogruppo Pierluigi Pettini, ma la smentita non arriva e Maroni va a dormire in qualche frigorifero. Da Padova, ovviamente, Giovanni Negri e il Polo cominciano a volantinare con entusiasmo: «Svolta nella campagna elettorale!». Appuntamento a martedì 4 aprile, mezzogiorno, Sala della gran Guardia, Padova. Maroni, con questa sua comparsata nella città di Sant'Antonio, esce dal frigo e si sveglia. E' un segnale. L'ex ministro dell'Interno, l'ex vicepresidente del Consiglio si stiracchia ed esce dal torpore apparente. Va a Padova e sceglie di appoggiare un candidato del Polo che si presenta contro un candidato sostenuto dalla Lega di Bossi. Chi, tra i parlamentari leghisti, meditava di votare a favore delle sue dimissioni, ora avrà un motivo in più per detestare l'ex ministro. Chi nel centro sinistra meditava di respingerle, ora potrebbe cambiare parere. Maroni minimizza, o almeno tenta: «Vado a Padova perchè Gio¬ vanni è un mio amico, ci frequentiamo dalla precedente legislatura, quando lui era giornalista parlamentare dell'Indipendente. Mi ha invitato e vado, il Polo non c'entra, mi ha detto che c'è un incontro con una trentina di imprenditori... Mica vado a fare un comizio, e poi non è un dibattito pubblico». Il volantino padovano su questo è piuttosto vago, c'è luogo e ora, mezzogiorno alla Sala della Gran Guardia. E' la sala di piazza dei Signori, sede di dibattiti, anche se il volantino non annuncia il dibattito. Che ci va a fare Maroni? «Mi incontro con Giovanni e basta». Chissà come la prenderà Bossi, fino a ieri sera tenuto all'oscuro della vicenda padovana. Dal congresso di febbraio Maroni ha rischiato l'espulsione almeno tre volte, salvato poi dai deputati leghisti che gli sono amici. Dopo il congresso e quindici giorni di vacanza alle Maldive, l'ex ministro si era presentato nelle stanze del gruppo leghista e aveva trovato un ufficio a sua disposizione. Alle insistenti richieste di Silvio Berlusconi («Roberto, mettiti alle testa dei leghisti che hanno abbandonato Bossi») aveva sempre risposto no. Il giorno della fiducia al governo Dini, nonostante un certo pressing del Polo, aveva votato sì. «Vedrai Roberto - era stata la previsione di Giuseppe Tatarella, l'altro ex vicepresidente del Consiglio - quando ci saranno da votare le tue dimissioni questo voto a Dini lo pagherai. Sarai il primo deputato che si vede accettate le dimissioni al primo colpo...». Secondo il calendario della Camera il «primo colpo» era per la tarda mattinata di ieri, proprio quando è arrivato il fax da Padova. Mossa maroniana di avvicinamento al Polo per evitare le dimissioni da deputato? «No - risponde lui - le dimissioni le voglio perché ho deciso di uscire dalla politica. Gli altri pensino quello che vogliono!». Chissà, questa volta, cosa ne pensa Bossi. Giovanni Cerniti
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