Referendum Si va alle urne l'11 di giugno di Andrea Di Robilant

Referendum Referendum Si va alle urne VII di giugno ROMA. Il governo Dini ha deciso: l'I 1 giugno gli italiani saranno chiamati a pronunciarsi sui dodici referendum recentemente ammessi dalla Corte Costituzionale, incluso quello sulla controversa legge Mammì. La decisione lascia al Parlamento un margine di tempo sufficiente per approvare le leggi che permetterebbero di evitare i referendum. Del resto il governo ha scelto l'ultima domenica possibile (i referendum devono tenersi entro il 15 giugno) proprio per dare al Parlamento la massima opportunità per evitarli. Ma il clima tra maggioranza e opposizione si è fatto talmente aspro che le prospettive di collaborazione alla Camera e al Senato non sono affatto buone. Con l'annuncio sui referendum, inoltre, si allontana inesorabilmente la prospettiva di tenere le elezioni politiche prima dell'estate, come invece continua a chiedere Silvio Berlusconi. Tecnicamente sarebbe ancora possibile votare il 25 giugno, ma ormai anche il Polo è sempre più rassegnato a votare dopo l'estate. «Questa decisione sui referendum - riconosce Gianfranco Fini, leader di Alleanza nazionale - è la dimostrazione che non ci si vuol rendere conto della necessità di votare in tempi brevi per rinnovare il Parlamento». Tre dei dodici quesiti referendari riguardano l'assetto radiotelevisivo fotografato appunto dalla lègge Mammì e sono al cuore di un durissimo scontro politico. Il primo punta a scardinare il duopolio Rai-Fininvest impedendo il possesso di più di una rete da parte di un singolo proprietario. Il secondo mira ad abolire gli spot nei film e spettacoli teatrali trasmessi in televisione. Il terzo chiede l'abolizione delle norme che permettono ad una concessionaria di pubblicità di lavorare per più di due reti nazionali. Un quarto quesito, presentato da Lega Nord e Club Pannella, punta invece a privatizzare la Rai. Non è da escludere che si raggiunga un accordo sulla legge anti-trust prima di arrivare al referendum, come auspica Massimo D'Alema, ma le prospettive sono scarse. Anche perché Berlusconi continua a dirsi convinto che gli italiani respingeranno i quesiti referendari sulla legge Mammì. Ma il leader della Quercia avverte che l'esito non è affatto scontato: «La maggioranza degli italiani sono favorevoli ad una regolamentazione degli spot televisivi. Sugli altri aspetti della legge Mammì la partita è aperta ad ogni risultato». I tre quesiti referendari sulla rappresentatività sindacale che mirano a rompere «il privilegio» delle grandi confederazioni hanno invece maggiori possibilità di trovare risposte legislative per tempo. La settimana prossima il Senato voterà due disegni di legge che modificano lo statuto dei lavoratori in materia di contributi e rappresentatività sindacali. Gli altri referendum riguardano: l'abolizione del ballottaggio per l'elezione del sindaco nelle città di più di 15 mila abitanti, l'abolizione del soggiorno obbligato per i sospettati di mafia, l'abolizione delle norme contro l'apertura notturna e festiva dei negozi, l'abolizione del limite alla concessione delle licenze da parte dei Comuni e infine l'abolizione delle norme che obbligano il datore di lavoro a versare in anticipo le tasse dei lavoratori dipendenti. Andrea di Robilant

Persone citate: Berlusconi, Dini, Gianfranco Fini, Mammì, Massimo D'alema, Silvio Berlusconi

Luoghi citati: Roma