discussione. Dalla Spagna, appello ai colleghi: bando a nostalgie e timori Filosofi è l'ora dell'allegria di Maurizio Assalto

discussione. Dalla Spagna, appello ai colleghi: bando a nostalgie e timori discussione. Dalla Spagna, appello ai colleghi: bando a nostalgie e timori Filosofi, è l'ora dell'allegria E Savater sfida una lunga tradizione FiILOSOFI di tutto il mondo, allegria! Poco spirito: il proclama non viene da un inedito Mike Bon i giorno in veste riflessiva, ma da un pensatore autorevole e alla moda come Fernando Savater. Reduce dal successo internazionale dei suoi ultimi libri (soltanto in Italia Etica per un figlio, tradotto tre anni fa da Laterza, ha venduto 140 mila copie), e forse proprio per ciò rinfrancato nelle sue entusiastiche convinzioni, il filosofo spagnolo si appresta a colpire nuovamente in patria. L'allegria è il tema intorno a cui ruota un'antologia di suoi scritti appena pubblicata da EspasaCalpe: titolo Misterios gozosos, misteri gioiosi, che poi tanto misteriosi non sono visto che le cinque buone ragioni per vivere allegri sono indicate nel fatto stesso di stare al mondo, nel piacere del buon cibo e del buon bere, nel gusto della polemica, nell'ammirazione per certe grandi figure storiche o anche immaginarie. Un sano, placido edonismo in pace con se stesso e con il modo. Non basta: sempre in questi giorni esce il Diccionaiio filosofico che Savater ha curato per Pianeta. La prima voce? Alegria, intesa come «affermazione della presenza, senza nostalgia per il passa to né patemi per il futuro». Nei vocabolari filosofici ita liani il lemma non compare neppure. E, in generale, l'alle gria non è troppo facilmente as sociata all'immagine dei filosofi e della filosofia. Perché? Perché non può che essere così. Manlio Sgalambro, pensa tore solitario e apocalittico, i categorico: «Il conoscente ha lo sguardo così preso dall'oggetto della conoscenza che non può muovere nemmeno un musco lo; mentre l'allegria comporta il movimento corporeo, distrae la fissità dello sguardo. E' una distrazione, non appartiene alla specie umana, se non come assenza, come eclissi da se stes si». Ma il piacere teoretico quello in cui perfino Aristotele fa consistere la massima forma di eudaimonia, di benessere? «E' vero - obietta Sgalambro -, ci può essere gioia nella conoscenza, per esempio la beatitudine del mistico, ma questa non dà in escandescenze, è più vicina al rapimento che allo scomporsi del corpo. Ecco perché ho dei sospetti su Zarathustra: questo allegro gigione si muove troppo, è allegro, mi sembra distratto». Ma davvero la ricerca della verità, l'amore della conoscenza devono essere uniformemente legati alla tristezza, all'atteggiamento torvo e severo, quello suggerito da una lunga serie di mutrie che hanno intimorito tutti, dai manuali di filosofia? «Per la verità siamo vittime di uno strano strabismo - osserva Remo Bodei, filosofo dei sentimenti e delle passioni -. Fin dalle origini, fin da Platone e Aristotele l'attività speculativa è associata all'idea di gioia e di piacere, e del piacere più alto e caratteristicamente umano che è quello intellettuale. Ma questa concezione è stata sommersa in età cristiana, soprattutto in seguito a un libro scritto in carcere, in attesa del supplizio, da Severino Boezio: il De consolatione philosophiae. Tuttavia l'idea di filosofia come gioia, l'idea che il dovere intellettuale di coltivare se stessi sia non solo un dovere ma anche un piacere ritorna in età moderna, con Cartesio e con Spinoza». «L'idea che la filosofia sia connessa con un atteggiamento malinconico è figlia del roman¬ ticismo e della décadence spiega Salvatore Veca -. Ma non per tutti è così: Kant sembrava l'immagine del pensatore grigio, invece era un autentico bon vivant. E Bertrand Russell? Un tipico filosofo che sprizzava buonumore. All'opposto si situa Wittgenstein, che però, è un fatto significativo, prima di morire ha avuto un'uscita straordinaria: dite a tutti che ho passato una vita felice». Ma l'elenco dei pensatori gioiosi si può allungare: «Penso a Voltaire e Diderot - riflette Carlo Augusto Viano, storico della filosofia -, e agli illuministi francesi in genere, e poi a Bentham e Hume e Locke». Viano però non incolpa soltanto la tradizione cristiana, o quella romantica: «C'entra anche Platone: distinguendo piaceri infe- riori e piaceri superiori, quelli legati al cibo e al sesso e quelli intellettuali, ha creato le basi per il lessico filosofico che an cora ci portiamo dentro. Forse bisognerebbe liberarsi da que sta ossessione». Anche perché, altrimenti, ci si confina fuori del mondo, e si rischiano bruschi risvegli. Ma fra allegria e tristezza c'è anche una posizione intermedia «Quella dei pragmatisti americani - dice Bodei -. James e De wey, per esempio, sono molto concreti Molto più degli italia ni. Ma anche Croce, in fondo, lo era. Tanto è vero che scriveva sui giornali. Un esempio segui to da molti, soprattutto oggi. E, fra questi, nessuno mi sembra troppo triste». Maurizio Assalto Ma il pensiero è necessariamente legato alla tristezza e al pessimismo? Ipareri di Sgalambro Bodei, Veca, Viano Nell'immagine grande, Bertrand Russell. Sopra, Fernando Savater

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