Sotto il treno di Mahler schiacciati dalla Creazione di Alessandro Baricco

Sotto il treno di Mahler schiacciati dalla Creazione B A R N U M LO SPETTACOLO DELLA SETTIMANA Sotto il treno di Mahler schiacciati dalla Creazione IN prima fila, all'Accademia di Santa Cecilia, a sentire la Terza Sinfonia di Mahler. In prima fila significa a due metri dal palcoscenico, e cioè a un niente da un'orchestra oceanica. Da lì sotto quel che vedi è poco, giusto la prima fila degli archi, qualcuno di quelli dietro, e il coro, quando entra, nelle file più in alto. Fiati e ottoni non ne vedi uno, le arpe spuntano ogni tanto come alberi di barchette tra le onde dei violini, le percussioni stamburano da un posto invisibile. Il direttore lo vedi come guardi le statue dei santi nelle cattedrali: ti incombe quasi a picco sulla testa, nero, sul podio. Sembrerebbe altissimo anche se fosse Rascel. Tutto è strano, vagamente cubista. Un attimo prima di farselo passare sopra, devono vederlo così, il treno, quelli che tolgono il disturbo con quel sistema lì. Ho giusto il tempo di pensare a tutto questo, che la musica inizia. Da un posto invisibile nella pancia dell'orchestra arriva la voce biblica degli ottoni, e poi tutto il resto, non di colpo, ma con una progressione da thriller bell'e buono (la suspense in musica: perfetto), ti pialla i nervi a poco a poco e quando proprio non ne puoi più arriva la vera grande folata di suono: irrompe il treno a velocità folle e tu sei in prima fila, non hai difesa, arriva la grande onda del fiume in piena e dentro c'è tutto, letteralmente tutto, come nell'onda di fango di qualsiasi alluvione, lavatrici, alberi, letti, piste da ballo, postiglioni, cannoni, mucche a nuotare, scarpe, vestiti, insegne da bar, un pallone e lettere d'amore. Mahler, che meraviglioso assurdo. Avrei sentito tutto quanto con i nervi, solo con i nervi, lasciando perdere il cervello che in casi del genere può anche sfumare optional, me la sarei goduta, insomma, in quel modo deprecabile che Adorno chiamava l'ascolto gastronomico, se a un certo punto non avessi fatto l'errore di aprire il programma di sala e leggere la seguente frase: «La mia Sinfonia sarà qualcosa che il mondo non ha ancora udito». Bum. Naturalmente la frase era di Mahler. Scritta prima che la Terza debuttasse. Ci aveva lavorato per quattro anni, a quella sinfonia, un'ora e 40 di musica, orchestra immensa, due cori, una voce solista, sei movimenti. Un kolossal. Qualcosa che il mondo non ha ancora udito. Era un piano senza limiti, questo va capito, era un piano che non prevedeva limiti. Tanto per dire: i sei movimenti hanno dei titoletti imbarazzanti (più tardi spazzati via) che sembrano didascalie da lavoretti a mezzo punto: Quel che mi raccon¬ tano i fiori di campo, Quel che mi raccontano gli animali del bosco, Quel che mi racconta la notte: abbastanza agghiacciante. Be', in rapida progressione si arriva al sesto movimento (una meraviglia, metà Paradiso metà Via col vento) e Mahler come pensa di intitolarlo? Quel che mi racconta Dio. Poi lascio perdere e ripiego su un più modesto Quel che mi racconta l'amore, ma la prima idea era quella, un'ambizione pazzesca, un piano senza limiti, un fiume che sfociava nell'immensità della voce di Dio. D'altronde quando dopo anni di attesa Mahler riuscì finalmente a far eseguire la Terza Sinfonia, passarono i 40 minuti del primo movimento e dopo la lama accecante dell'accordo finale venne giù il soffitto dagli applausi, e allora lui, in mezzo a tutto quel casino, lui si voltò verso Alma, la donna della sua vita, e poteva dirle un sacco di cose ma quel che disse, precisamente, fu: «E vide che questo era buono». Voglio dire: l'ultimo che aveva usato quella battuta era stato il Creatore, al termine di quella faticaccia della Genesi. Allora uno può pensare che quello era un pazzo, che era un mitomane bell'e buono, e riderci su. Ma in realtà quello che ho fatto, mentre il treno di quella sinfonia pazzesca mi passava sulla testa, è pensare che se poi noi difendiamo e conserviamo e mitizziamo quelle cose che chiamiamo opere d'arte dev'essere anche perché in esse si tramanda il ridicolo assurdo di una pretesa irrinunciabile: essere infiniti. Poi non lo si è infiniti ma questo non conta, l'importante è conservare da qualche parte l'idea che sarebbe bello esserlo. Poi puoi anche passare la vita a sbattere contro i quattro muri della tua personale galera ma è diverso se da qualche parte conservi l'idea, salvifica, che essere infiniti, però, sarebbe stato bellissimo. La Terza Sinfonia di Mahler, dopo 100 minuti di tutto sonoro, finisce in una coda infinita: tutti inchiodati su un re maggiore, tutti sparati a tavoletta su un fortissimo che morde i nervi. E' il finale ed è infinito. Un trucco da compositore di colonne sonore, se volete. Un effettaccio. Però: com'è che uno lo sente, e si sente salvato? Alessandro Baricco In prima fila per la «Terza» a Santa Cecilia E dopo 100 minuti unfinale da colonna sonora