«lo, un baby kamikaze pentito grazie a papà» di Fiamma Nirenstein

«lo, un baby kamikaze pentito grazie a papà» UN KILLER DI HAMAS «lo, un baby kamikaze pentito grazie a papà» STEL AVIV I chiama Musa Ziyada il predestinato, un quindicenne dall'apparenza tenera, vivace, intelligente. Era lui l'eroe prescelto da Hamas a Gaza per mettersi intorno al petto una cintura di 8 chili di tritolo nel giorno quindicesimo di Ramadan, il 15 febbraio scorso, l'anniversario del massacro di Hebron. Entrare in Israele e portarsi via, in un salto insanguinato verso il paradiso, quanti più ebrei possibile. «Naturalmente gli israeliani non sarebbero venuti con me, ma avrebbero preso la via dell'inferno», dice oggi, dopo che suo padre, probabilmente anche con qualche ceffone, l'ha salvato dalla morte e dal sogno di diventare un assassino di Allah. Musa oggi ha cambiato idea anche attraverso gli studi religiosi: infatti ha detto al settimanale israeliano «Jerusalem Report», che l'ha intervistato, «che il suicidio è ingiusto sia dal punto di vista personale che religioso». Musa era stato avvicinato da militanti più che trentenni dell'associazione Izz al-din al hassam, il braccio armato di Hamas: «Mi convinsero con la descrizione della vita nell'aldilà che mi avrebbe atteso dopo l'attentato suicida. In paradiso si trovano tutti i piaceri possibili, ed è un luogo dove la morte non esiste, pieno di palazzi, di giardini, di sorgenti di latte e di vino (senz'alcol, alla musulmana n.d.r.). Mi dissero anche che con il martirio si guadagna il diritto al paradiso per 70 parenti e amici e che 70 vergini mi avrebbero aspettato lassù. Io non ho discusso troppo: volevo essere convinto, anzi, ero già convinto». Colpisce, nella vicenda di Musa, il contrasto fra il fanatismo della sua generazione e l'atteggiamento laico del padre Hisham, un quarantatreenne dall'aspetto europeo, occhi azzurri e una fabbrica di finestre d'alluminio, che nel parlare oggi col figlio ha fatto una scelta di basso profilo sdrammatizzante, degna di un bravo psicologo. Per esempio prende in giro il ragazzo re¬ divivo quando questi gli spiega che se un martire si fa saltare per aria ma non riesce a portare con sé nessun israeliano, andrà in paradiso lo stesso per le sue intenzioni: «Ma solo con 35 vergini!», ride Hisham. Musa, che è nato nel 1980 nel campo di rifugiati di Bureij, nel Sud di Gaza, è il quarto di 9 figli. Benché il padre non sia religioso, lui, fin dall'età di 10 anni, è diventato un piccolo prodigio del Corano. A 12 anni è entrato in Hamas. Gli venne dato subito il titolo di emir, principe, per la sua costanza nel seguire la religione e la sua conoscenza dei testi sacri. «Dottori e ingegneri ci venivano a trovare a casa per consultarlo», ha raccontato il padre. Musa, essendo dopotutto un bambino, giocava anche al calcio della moschea: in pantaloni lunghi però, visto che la squadra era quella di Hamas. Quando otto mesi fa la famiglia si è spostata nel quartiere Darraj di Gaza, Musa è subito entrato a far parte della moschea sotto casa, ed è divenuto ben presto una piccola celebrità locale. Il padre ricorda, proprio come un genitore italiano lamenterebbe l'eccessiva passione del figlio per Fiorello o per un qualche cantante di grido, che ad ogni annuncio di martiri e attentati Musa si eccitava sempre di più e diceva: «Come vorrei essere io quel martire!». «Ma i ragazzi dicono un sacco di sciocchezze, si sa, e seguitammo a pensarlo anche il giorno che ci disse che per lui il massacro di Beit Lid (21 israeliani uccisi) era stata un'azione eccellente». La svolta è avvenuta durante la vacanza invernale di dieci giorni, in cui Musa raccontò alla famiglia che avrebbe voluto trascorrere il suo tempo con la zia e la sorella, ancora residenti a Burej. Quando Hisham, il padre, si rese conto che Musa non era stato quasi mai visto dai parenti, e soprattutto dopo che suo fratello, un poliziotto di nome Samir, gli ebbe detto di dare un'occhiata più ravvicinata al figliolo, corse a riprenderselo immediatamente. Musa aveva nel frattempo partecipato a due sessioni segre¬ te di preparazione al martirio. Quando il giorno prima della terza sessione Musa disse al padre che doveva assolutamente assentarsi di nuovo (era il 13 febbraio) il padre lo tenne stretto a sé e lo portò per un braccio alla polizia palestinese. La polizia gli trovò addosso, prima ancora di interrogarlo, una lettera di commiato scritta per i suoi cari. Musa dice oggi, mentre il padre lo nega, di essere stato picchiato durante gli interrogatori. Hamas dice di non entrarci niente con questa storia, e suppone che Musa sia stato torturato. La polizia dice che botte non ce ne sono state: semplicemente, spiega, la sua capacità di combattere il terrorismo dentro Gaza migliora di mese in mese, e certamente è molto superiore a quella degli israeliani. «Molti di noi - dice il padre di Musa - non sono affatto collaborazionisti. Sono però, come me, contrari profondamente agli attacchi terroristici, e faranno del loro meglio per sostenere l'autorità palestinese». Fiamma Nirenstein «Mi dissero che con il suicidio si ottiene il diritto al paradiso corredato da 70 vergini»

Persone citate: Jerusalem, Musa

Luoghi citati: Gaza, Israele