Torna «Splendida Hotel» la pièce maledetta che lo scrittore volle dimenticare Genet si fa uccidere in scena

Torna «Splendida Hotel» la pièce maledetta che lo scrittore volle dimenticare Torna «Splendida Hotel» la pièce maledetta che lo scrittore volle dimenticare Genet si fa uccidere in scena Una sfida del '48 EONO in frac, con una barba di quattro giorni. Sono spettinati. Non si scollano mai di dosso il mitra, nemmeno per ballare. Non si toccano mai». Asserragliati al settimo piano dello Splendid's Hotel sette uomini tra i 20 e i 30 anni, non hanno scampo. La giovane miliardaria che hanno rapito gli è «crepata» tra le mani. Fuori, la polizia in assetto di guerra attende l'alba per entrare in azione mentre la radio tra un valzer e l'altro, enumerando i loro crimini, li definisce la banda Rafale (Raffica) dal soprannome di uno di loro. Ma sono davvero una banda? Sono davvero così crudeli, audaci, rotti a qualsiasi delitto come li si descrive? Il poliziotto preso in ostaggio passa dalla loro parte perché, «inebriato» dalla loro forza, «rivoltandosi come un guanto» vuole dimostrare che «il gangster è il rovescio dello sbirro», che quello è l'inevitabile sbocco quando «nella crudeltà al servizio dei borghesi» si supera il limite? Oppure, il suo doppio tradimento è solo una tattica da sbirro, appunto? Splendid's Hotel, la pièce che Genet scrisse nel 1948 e che, nonostante l'apprezzamento di Sartre, rimosse al punto da farla ritenere perduta, è da domani in scena al Piccolo Teatro di Milano per la regia di Klaus Michael Griiber. E' questo inedito, che II Saggiatore pubblica nella traduzione di Franco Quadri, la grande novità della importante manifestazione che la scorsa settimana ha visto la messa in scena di Les bonnes, Il balcone, Querelle de Brest; documentari, film, dibattiti dedicati ad uno scrittore maledetto la cui identità di «ladro, disertore, traditore, galeotto, checca...», trasformata in clichet, è diventata così inoffensiva da permettere cele- brazioni e canonizzazioni del comédien et martyr secondo Sartre. Ambigua, piena di trabocchetti e di rimandi, la pièce è di grande interesse. Ma quale sarà la chiave di lettura del regista tedesco? Che nell'immediato fosse sconsigliabile la pubblicazione di Splendid's Hotel, è comprensibile. La petizione che su iniziativa di Cocteau e Sartre ha mobilitato in quei mesi persino scrittori come Mauriac per reclamare la remissione delle sue pene stava facendo il suo corso e nell'agosto del 1949 la grazia taglierà fuori, definitivamente, Genet dall'ambiente della delinquenza e dall'inquieto nascondersi sotto falso nome in alberghetti di infimo ordine. «Una volta libero - dirà più tardi - ero perduto». Ora, prestando per la prima volta nella sua opera il proprio nome al capo dei banditi che è l'unico a cercare disperatamente una via d'uscita, e che è l'unico ad essere ucciso dal poliziotto dopo aver invano proposto un gioco «leale» ai compagni, Genet voleva esprimere probabilmente qualcosa che andava al di là dell'ennesimo attacco alla polizia o della denuncia lanciata col Diario di un ladro che cioè i delinquenti li crea la società. Forse metteva a nudo qualcosa di sé che riteneva così personale da non volerlo rivelare finché era vivo. Nel tema di fondo torna infatti la situazione che ha innescato la sua alterità rispetto al mondo. Succedeva nel 1920. In una fattoria del Morvan, un trovatello piazzato in una famiglia di contadini credendosi solo in cucina allunga la mano in un cassetto semiaperto. «Sei un ladro!» gli urla il padrone di casa e da quel momento il suo destino è deciso. Sarà tutto un susseguirsi di trasgressioni, la cui entità comunque - ci informa la voluminosa biografia di Edmund White, annunciata per il prossimo anno sempre da II Saggiatore - era molto meno grave di quanto Genet abbia voluto farci credere. Ingigantendo le imprese di ladri e disertori, pederasti e travestiti, li eroicizzava scrisse lui stesso - per «una inconscia volontà di riabilitazione degli esseri e dei sentimenti ritenuti vivi». I banditi di Splendid's Hotel hanno molto poco di eroico. Sono autori di «furtarelli», balordi che in carcere hanno sognato di mettere su una banda ma che non possono affatto vantarsi dei crimini che i bollettini radiofonici gli imputano. Corrispondere a quell'identità, «essere per una notte i gangster che non (sono) mai stati» diventa allora l'ultima carta da giocare. Ma anziché contro la polizia, la lotta serrata si scatena tra di lóro, coi nervi a fior di pelle e il dito sul grilletto, per un effimero ruolo di capo che guidi l'azione finale. Festa tragica, questo gioco al massacro in cui ognuno, tirando fuori il peggio di sé tradisce, irride, minaccia, istiga l'altro. E nello scontro incrociato, ognuno è così radicato nella propria solitudine e nella certezza della morte imminente che a nulla vale la proposta di Jean il quale, sentendosi «responsabile» vorrebbe assumersi il diritto di salvarli con una via d'uscita «ragionevole». Ma quei criminali che invece di battersi e lottare, per due giorni hanno esitato sul da farsi, misurandosi a vicenda, preferiscono cercar di vivere altre due ore «in grande stile» costringendo Jean a travestirsi con gli abiti della morta ed a passeggiare sul balcone. Trasformato da gangster in donna, smascherato nella sua vera natura e perciò identificato con la vittima, il leader viene assunto come bersaglio di odio. Invano tenta la carta della seduzione con il poliziotto che si dichiara «più spietato» di qualsiasi bandito. Dunque, Jean muore mentre gli altri non hanno il coraggio di andare fino in fondo. Nel 1948, Genet pensava ad una grande opera narrativa sulla morte che non realizzò mai. Aver messo Jean a confronto, in conflitto, con gli altri, averlo fatto morire non significava che una pagina era voltata? Il «maschiotto» che sedicenne appare in una foto con la ruvida giacca del brefotrofio, 0 maglione strappato e la folta chioma in disordine, non aveva sofferto abbastanza? E poi, recita il leitmotiv della pièce, «è dolce tradire». Paola Decina Lombardi Esce dall'oblio dopo 50 anni: da domani al Piccolo di Milano Un gioco al massacro tra banditi vigliacchi odii e travestimenti ndida Hotel» dal Saggiatore Un Genet visto da Levine; il suo «Splendida Hotel» torna in scena e viene tradotto dal Saggiatore Qui sotto Sartre, grande estimatore della pièce «perduta»

Luoghi citati: Brest, Milano