discussione. Da Guzzo a Pareyson a Buttiglione un'inchiesta su 50 anni di pensiero Filosofi cattolici spaccati su Dio di Giorgio Calcagno

discussione. Da Guzzo a Pareyson a Buttiglione un'inchiesta su 50 anni di pensiero discussione. Da Guzzo a Pareyson a Buttiglione un'inchiesta su 50 anni di pensiero Filosofi cattolici spaccati su Dio Come in politica, Punita resta un miraggio ON esiste unità dei cattolici nel pensiero. E' finita assai prima dell'unità in politica; anzi, forse non c'è stata mai. Ma mentre i cattolici in politica si azzannano, i cattolici in filosofia si limitano, più pacatamente, a confrontare le idee. Solo che i politici, con tutte le loro divisioni, hanno una base in comune, il miraggio del potere; e i filosofi no. Gli amanti della sofia, in comune, hanno soltanto il sapere, che ncn rende; e li fa diversi l'uno dall'altro, anche quando partono dalla stessa premessa, la fede in urt essere trascendente. Su tutto il resto preferiscono applicare l'agostiniano «in dubiis libertas». Anche se è una libertà spesso sgradita in alto. Si parla poco dei cattolici che pensano, in Italia; forse perché, per cinquant'anni, si è parlato troppo dei politici. Non hanno mai fatto maggioranza, in campo culturale, il loro peso è scarso, fra gli opinionisti dei mass media; e, ultima condanna, sono piuttosto diversi dalla classe politica che dovrebbe ispirarsene. Uno solo di loro, Rocco Buttiglione - atipico, come sono atipici tutti, e forse non il più autorevole - è sceso direttamente nell'arena. Gli altri se ne tengono accuratamente fuori. E' andata a snidarli su e giù per l'Italia una giovane, ma già ferrata ricercatrice, Chiara Ronchetti, per un libro inchiesta. Fede e filosofia. Il pensiero cattolico nell'Italia del dopoguerra, in uscita dall'editore Leonardo. Un sintetico panorama sui protagonisti storici di questo mondo, da Sciacca a Bontadini, da Guzzo a Pareyson, e poi otto interviste, ai filosofi militanti oggi: raggruppati, per quel che valgono i raggruppamenti - e valgOxio pochissimo, come si vede leggendo - fra metafisici dell'essere e spiritualisti. A parte il segretario del partito popolare, ci sono maestri come Pietro Prini, esponente dell'esistenzialismo cristiano, e Vittorio Mathieu, «cristiano neoplatonico», i metafisici Virgilio Melchiorre e Enrico Berti, il filosofo della scienza Evandro Agazzi, il popperiano Dario Antiseri, il «mistico» Marco Vannini. Peccato che l'autrice non abbia allargato il campo interpellando personaggi non cattedratici, ma sicuramente ricchi di umore, come Sergio Quinzio, forse il più acuminato, oggi, sul piano religioso. Prima sorpresa. Tutti e otto si professano credenti, cristiani, ma non in quanto filosofi. La fede è un bene, per qualcuno un dono, che vale, paradossalmente, quanto è meno sicuro. La filosofia è una ricerca, che ha senso quanto meno condizionata. E, dove tocca i problemi della trascendenza, l'assoluto, l'aldilà, fino alla domanda ultima su Dio, sa di non poter approdare a dati razionalmente certificabili. Secondo Agazzi, il filosofo può aprire lo «spazio concettuale» della trascendenza; ma deve poi riempirlo «e qui le cose che si possono dire a stretto rigor di ragione sono molto poche». Con metodo diverso ma analogo pudore di pensiero, il «metafisico» Enrico Berti sostiene che l'espressione «filosofia cristiana» è legittima da un punto di vista storico, «mentre da un punto di vista teoretico preferisco parlare & una filosofia aperta alla fede, la? riandò poi alla libertà del credente ogni indicazione ulteriore». Vittorio Mathieu, dopo avere riconosciuto che «il credere viene prima», cerca di tenere distinte le due strade, della fede e della ragione. Fa l'esempio di Bartali, «che era cattolico ed era un pedalatore, ma a nessuno veniva in mente di chiamarlo un pedalatore cattolico». Così il filof ofo «può trattare temi, anche religiosi, senza impegnare la sua cattolicità». Non per questo, avvertono alcuni degli intervistati, il filosofo credente è in partenza esposto allo scacco. Di fronte allo scientista puro, avverte Antiseri, il pensatore cristiano ha qualche vantaggio: «Il fideista che sa che la scienza è resa possibile da una scelta irrazionale della ragione scientifica è più razionale, molto più razionale di quegli pseudorazionalisti che non conoscono i limiti della ragione». Agazzi va al di là ancora, quasi con orgoglio: «Tutto quanto uno scienziato, un logico, un filosofo laico possono capire, dimostra¬ re, analizzare, lo posso altrettanto capire e conoscere anch'io. Il mio vantaggio è che io riesco a vedere certe cose in più che essi non vedono». Questo qualcosa in più, poi, si scopre che è difficilissimo da definire, i puntelli tradizionali non soccorrono nessuno, bisogna spesso ricorrere proprio a quei filosofi laici per aiutarsi nella ricerca. E qui è la seconda sorpresa. Anche se alcuni pongono la parola «metafisica» al centro di tutto, nessuno fa più fondamento sulle grandi cattedrali della filosofia scolastica. I personaggi più citati, anche se dispiacerà a qualche censore in tonaca, sono Kant e Nietzsche, Wittgenstein e Heidegger. C'è chi si richiama a Husserl, chi addirittura a Habermas. Forse con un po' di forzatura, Buttiglione ascrive al cielo dei suoi santi padri Sigmund Freud, di cui sottolinea, senza temere il sorriso, «la profonda cattolicità». E, scommessa per scommessa, ci aggiunge pure Oscar Wilde. La stessa parola «ateismo», in questo firmamento rovesciato, non ha più le connotazioni demoniache a cui era stata associata fino a ieri. Per il toscano Vannini, un filosofo che piacerebbe a Ceronetti, traduttore di Meister Eckhart, «l'ateismo fa parte di una profonda esperienza della verità. Se significa la rimozione di ogni idea determinata di Dio, è profondamente vero». E Berti ammonisce che l'ateismo è presente «solo nelle culture impregnate delle religioni bibliche». Il più scandaloso, fra i pensatori chiamati a raccolta, è Dario Antiseri, che parte da Kant e soprattutto da Popper, rifiuta la metafisica e difende «la forza del pensiero debole», contro gli assolutismi, filosoficamente deboli, del pensiero forte. «Cattokantiano e cattodebolista», lo ha di recente accusato padre Guido Somm a villa, un roccioso gesuita che difende le intangibili cinque vie di San Tommaso, sparando contro ogni rischio di deviazione dalla sua ben sbarrata fortezza (nel volume Dio una, sfida logica, Rizzoli). Il debolista kantiano non ne sembra molto turbato. «A fondamento della fede cristiana non c'è Aristotele né Tommaso né Cartesio ma Cristo», replica. E, se proprio deve scegliere un maestro, sceglie «i veri razionalisti»: Pascal, Kant, Kierkegaard, il suo Popper; fino a Norberto Bobbio. Salvo Buttiglione, per il quale la filosofia deve diventare «guida dell'azione sociale e politica» - e pour cause -, gli altri preferiscono non impegnare il pensiero in conclusioni troppo immediate. «Il concreto per eccellenza è quello che riguarda l'anima e Dio, Dio e l'anima, nient'altro», dice Vannini. E, anche qui, senza certezze precostituite. «Solo chi ha fede può avere dubbi», sostiene Berti, riprendendo un giudizio di Nietzsche. Anche sulle verità ultime, come ricorda Mathieu, a proposito della sopravvivenza, sulla quale «non si può dire nulla». Cita il suo maestro Carlo Mazzantini, quando parlava della vita ultraterrena: «Io troverò un risotto, vino e Gina Lollobrigida», gli diceva. «Oltre che, naturalmente, una cattedra per insegnante», aggiunge il suo discepolo. Mathieu non esclude che il filosofo avesse ragione, ma per sé non si aspet ta né la cattedra né il risotto e neppure, ahimè, una Lollo d'annata, come quella che sorrideva, quarant'anni fa, al vecchio professore. Giorgio Calcagno Qui accanto Augusto Guzzo; sotto, a sinistra Luigi Pareyson

Luoghi citati: Italia, Sciacca