Una nuova figura lancia la sua «sfida al mondo»: Kundera l'ha scovata nell'ultimo romanzo, in Italia è in scena da tempo I ballerini della politica di Pierluigi Battista

Una nuova figura lancia la sua «sfida al mondo»: Kundera l'ha scovata nell'ultimo romanzo, in Italia è in scena da tempo Una nuova figura lancia la sua «sfida al mondo»: Kundera l'ha scovata nell'ultimo romanzo, in Italia è in scena da tempo della politica EROMA UCE ai riflettori, che va in onda il Buon Esempio. Pronti al beau geste, all'esibizione dell'Ego filantropico, alla fiera dei buoni sentimenti, alla sfilata degli aiuti umanitari: i «ballerini della politica» stanno per lanciare la loro «sfida all'universo mondo». Strapperanno un applauso, susciteranno gridolini di ammirazione. Reciteranno con scrupolo quel ruolo inventato dalla fantasia di Milan Kundera ma che nondimeno appare sempre più di frequente nel chiassoso teatrino della modernità: il «ballerino della politica», appunto. Il politico che danza e volteggia sulle buone cause per «mostrarsi più morale» di quanto effettivamente non sia, il «più coraggioso, più onesto, più sincero, più disposto al sacrificio, più veritiero» di tutti. I critici letterari hanno già versato fiumi di parole sulla Lentezza di Kundera (tradotto in Italia da Adelphi). Lo hanno elogiato, stroncato, sezionato, delibato. Trascurando però che Kundera ha contribuito nel suo romanzo a delineare la fisionomia del tipo cruciale nella nuova èra della politica-comunicazione. Davvero è solo letteratura quel «deputato Duberques» che assieme all'«intellettuale Berck» si fa immortalare dalle telecamere mentre bacia un malato di Aids e in Somalia si fa fotografare «accanto a una negretta moribonda con il viso coperto di mosche»? Il ballerino della politica, scrive Kundera, sa che «per, pqcupare la scena bisogna cacciarne via gli altri», inga'ggia una lotta the sembra uno «judo,morale»,'agisce non in modo «discreto» (la discrezione essendo, per luì, prerogativa di personalità «ingannevoli, disoneste, ipocrite, turpi» ma imponendosi a sorpresa: «Siete pronti (come lo sono io) a devolvere il vostro stipendio di marzo a favore dei bambini somali?». E' l'identikit di un personaggio molto diffuso anche da noi. Personaggio politico, ma con legami molteplici e multiformi con il mondo dello spettacolo, della moda, del talkshow, del cinema, della comunicazione in generale. L'esibizione di sé è il carburante psicologico del «ballerino della politica». La disinvoltura il suo contrassegno morale. La furbizia nello scegliere temi inattaccabili, moralmente ineccepibili, il segreto del suo successo. Gli intellettuali, poveri-loro, appartengono all'archeologia di questo fenomeno. Hanno doviziosamente firmato appelli per le più diverse buone cause (o che tali apparivano, anche quando erano pessime). Non potevano immaginare che la Buona Causa sarebbe diventata il marchio per la promozione di un gruppo come la Benetton, con l'astuto Oliviero Toscani pronto a saltare sul razzismo come sull'Aids, sulle atrocità della guerra in Bosnia e sulla mafia. Non potevano immaginare le più avvenenti top-mo¬ del, da Claudia Schiffer a Cindy Crawford, che offrono la loro immagine da affiancare a quella di fanciulli abbandonati e di animaletti torturati. Non potevano immaginare Emilio Fede che dalle candeline accese a sostegno del Polo passa al conto corrente «di solidarietà» con i poveri bambini nomadi storpiati dal pacco-bomba regalato loro dai nazi-criminali di Pisa. E invece i ballerini della politica hanno appreso la lezione del tempo. Giulio Andreotti che all'alba allunga biglietti da diecimila ai barboni che gli si fanno incontro sul sagrato della chiesa sembra un'immagine quasi arcaica o comunque pre moderna della filantropia da politica-spettacolo. Oggi conta di più il portavoce dei Verdi che assiste fiero all'happening con cui la moglie Marina immola due pellicce sull'altare dell'animalismo. Oppure la parlamentare di Forza Italia Cristina Matranga che organizza al Gilda una festa di Palazzo a favore degli alluvionati (con Ombretta Fumagalli Carulli che taglia la torta con su scritto «solidarietà per il Piemonte). 0 anche i due forzitalisti Alberto De Luca e Paolo Romani che trovano dopo prolungate insistenze un posto sul mezzo da sbarco che ha por- tato in terra somala i militari del battaglione San Marco. 0 ancora Leoluca Orlando che costruisce la sua fortuna politica sugli stilemi della retorica antimafiosa. Politica (e poetica) del gesto esemplare. Modelli compiutamente mutuati dal gigantismo della beneficenza che Beppe Grillo definisce il «telemarketing della disgrazia». Dalla gestualità dell' «impegno civile» (e ovviamente «solidale») che ispira l'invito di Sergio Zavoli a sbandierare lenzuola antimafiose dai davanzali delle finestre. Oppure l'esibizione di fiocchetti rossi per i malati di Aids che da Hollywood è passata direttamente in Italia. 0 anche la galleria di desolanti «casi umani» che Maurizio Costanzo presenta al politico di turno del suo talk-show affinché il politico si attivi, si mobiliti, faccia qualcosa e il politico che assicura che sì, lui si attiverà, si mobiliterà, farà tutto quello che è in suo potere: «ma non vorrei creare illusioni, però». Illusionismi, appunto, da modernissimi «ballerini della politica». Non che la politica della Prima Repubblica si sottraesse alla tentazione dell'impegno ostentato e spettacolarizzato a favore di qualche giusta causa. Bettino Craxi, per esempio, prese la sua crociata anti-droga con spirito missionario al punto da dover rinunciare alle sue sigarette. Con pubblica dichiarazione annessa (e rimbrotto all'operatore televisivo che lo stava surrettiziamente riprendendo mentre aspirava una furtiva boccata di fumo). Giorgio la Malfa non fece mancare la sua presenza nel molo di Brindisi gremito di una folla disperata di profughi alba¬ nesi. Renato Altissimo non si sentì aggredito nella sua privacy quando un fotografo lo immortalò in barracano accanto a una banda di mujaheddin afghani che guerreggiavano contro l'invasore sovietico. E Marco Pannella certo non promosse la sua campagna contro la fame nel mondo secondo quei criteri di «discrezione» che secondo Kundera sono appunto assenti dal modo di fare dei «ballerini della politica». Cosa non si farebbe per un bel gesto. E' fresco nella memoria collettiva il ricordo dei politici italiani, da Roberto Formigoni a Gianfranco Fini, da Chiara Ingrao a Mario Capanna, che si recavano in delegazione da Saddam Hussein per convincerlo a rilasciare qualche ostaggio. Dello stesso Capanna che riusciva a convincere Gheddafi affinché scendesse a patti sul rilascio dei pescherecci italiani. Del non notissimo senatore socialista Maurizio Calvi che offrì la sua persona come ostaggio del despota iracheno. Delle memorabili campagne a favore del «popolo curdo» (i curdi: che fine hanno fatto i ballerini per i curdi?), degli infuocati appelli di Achille Occhetto per la salvezza della foresta amazzonica o per la coltivazione del deserto del Sahara. Tutto un fiorire di iniziative e di missioni in un contesto emotivo mediologico che prevedeva concerti per il Sud Africa ancora vessato dall'apartheid, catene umane per la pace, marce filo-palestinesi e battaglie a favore dell'introduzione dei fumetti di Lupo Alberto nelle scuole come guida al sesso sicuro. Cambiano gli oggetti e i pretesti dell'impegno, ma non la vocazione (ballerina) alla politica del gesto esemplare. Per un Alessandro Meluzzi che va a Baghdad per convincere gli occidentali a smetterla con l'embargo che affama i bambini iracheni, c'è una Loredana Berte che assieme alla delegazione di deputati di Rifondazione comunista all'Avana si batte, sorvolando su'alcuni dettagli poco edificanti del regime castrista, per la fine dell'embargo che strozza l'economia di Cuba. C'è l'ex sottosegretario agli Esteri Rocchetta che vola in missione per il Ruanda con risultati pratici nulli, ma con con esiti simbolici da non buttare via. C'è Luciano Benetton (sempre lui) che posa nudo sulle copertine naturalmente per beneficenza. C'è Beppe Grillo che rinuncia ai compensi televisivi per devolverli ad associazioni ambientaliste e l'attore Giobbe Covatta che promuove un tour filantropico per le popolazioni africane. C'è Francesco D'Onofrio che propone di donare allo Stato le proprietà democristiane come risarcimento per le tangenti. C'è Ottaviano Del Turco che vende i propri quadri e Giuseppe Ayala che spiega che la sua non è ambizione politica ma testimonianza omaggio alla memoria di Falcone e Borsellino. C'è il presidente della Rai che si dedica ai «ragazzi di Muccioli» e il deputato romano di Alleanza Nazionale Gramazio che propone la caccia ai viados come se fosse un regalo di «solidarietà» da dedicare ai poveri cittadini della zona. Chi non solidarizza, invece, fa la figura di quel personaggio di Kundera che, refrattario al beau geste, dichiara «in tal modo la propria infamia di nemico dei bambini». Qualcosa del genere deve aver spinto Berlusconi ad accogliere a braccia aperte i minatori del Sulcis che protestavano sotto Palazzo Chigi, oppure Massimo D'Alema che si fa vedere mischiato ai pensionati in rivolta contro la riforma delle pensioni dell'allora ministro (e nemico del popolo) Lamberto Dini. Tanto un giro di valzer tra i «ballerini della politica» non costa nulla. Ci voleva Kundera, perché lo si capisse? Pierluigi Battista Dalla Prima alla Seconda Repubblica il partito trasversale del bel gesto spettacolare